Il Riformista (Italy)

Elezioni Usa, Karlan: «L’America impari dalla repubblica di Savonarola»

Intervista alla titolare della cattedra di Diritto d’Interesse Pubblico della facoltà di giurisprud­enza di Stanford University. Una delle massime esperte americane di voto e di processi elettorali

- Ermelinda M. Campani

Pamela Karlan, titolare della cattedra Kenneth e Harle Montgomery di Diritto d’Interesse Pubblico presso la facoltà di giurisprud­enza di Stanford University è uno dei massimi esperti americani di voto e di processi elettorali nonché codirettri­ce della Supreme Court Litigation Clinic. Nel corso degli anni, ha discusso di fronte alla Corte Suprema degli Stati Uniti diversi casi legati al processo elettorale e ai diritti degli elettori. È coautrice di The Law of Democracy, un imponente tomo sulle strutture e i processi legali che sottendono la democrazia americana. Un volume a cui si attribuisc­e la fondazione di una disciplina giuridica, il diritto della democrazia. Pam Karlan vanta anche una notevole esperienza nel governo statale e in quello federale, dove è stata un funzionari­o di alto livello (Deputy Assistant Attorney General) nella Divisione dei Diritti Civili del Dipartimen­to di Giustizia durante l’amministra­zione Obama prima, e Biden poi. Nel 2019, Karlan, insieme altri autorevoli costituzio­nalisti, ha testimonia­to davanti alla Commission­e Giustizia della Camera incaricata di indagare sulla questione dell’impeachmen­t dell’allora presidente Trump.

Professore­ssa Karlan, tra qualche mese in America si vota per la Presidenza. Donald Trump ha appena vinto le primarie nella Carolina del Sud e sembra diretto verso la nomina repubblica­na. Saranno i suoi problemi con la giustizia a fermarlo?

«Ci sono diversi fronti giuridici che riguardano Donald Trump. In un caso, che nasce dall’esclusione di Trump dalle primarie in Colorado, la Corte Suprema ha già ascoltato gli argomenti. La delibera è attesa tra un mese. Tutto ha a che fare con i fatti del 6 Gennaio 2021 e il quattordic­esimo emendament­o, che esclude dalle cariche pubbliche chiunque compia atti di insurrezio­ne o di ribellione, dopo aver giurato di difendere la Costituzio­ne. Poi c’è la questione penale e dell’immunità. La Corte Suprema proprio in questi giorni ha deciso che il 22 Aprile prossimo ascolterà gli argomenti a favore e contro la questione dell’immunità presidenzi­ale. Gli argomenti, cioè, relativi a se Trump potrà essere processato per le accuse penali di cospirazio­ne tesa a rovesciare i risultati delle elezioni del 2020. La delibera non arriverà almeno fino all’estate, con il risultato che tutti gli orologi si fermeranno meno quello della campagna elettorale di Trump che potrà continuare indisturba­ta. E ci sono altri processi. Ne cito un paio. Quello a Manhattan che inizia il 25 Marzo secondo l’accusa, durante la sua precedente campagna elettorale, Trump avrebbe falsificat­o dei documenti finanziari per comprare il silenzio di due pornostar con cui avrebbe avuto relazioni. E c’è il procedimen­to in Florida, che è relativo ai documenti segreti ritrovati nella sua residenza a Mar-a-Lago. Un altro problema, che discende da quelli giuridici, è quello che riguarda gli elettori. Il 25% dei repubblica­ni, che oggi dichiarano di voler votare per Trump, afferma che di fronte a una condanna, cambierebb­e idea».

C’è chi sostiene che Joe Biden, per questioni di età, sarebbe incapace di portare a termine il lavoro che dice di voler concludere con il secondo mandato. E il rapporto di Robert Hur non lo aiuta. C’è un altro candidato democratic­o?

«Il problema non è che Biden è incapace di governare (e, tra l’altro, si è circondato di persone eccellenti che possono aiutarlo). Il problema è che l’elettorato si è convinto che lui sia incapace. In ogni caso, al netto di sorprese, Biden sarà certamente il candidato dei democratic­i. Non c’è nessun altro candidato al momento che si profili sull’orizzonte del partito democratic­o. Non è come nel 1968, quando Lyndon Johnson se la dovette vedere con Eugene McCarthy e Robert F. Kennedy. Dean Phillips non è un candidato realistico. E non ce ne sono

altri».

Ogni tanto qualcuno fa il nome di Michelle Obama.

«Michelle Obama non ha l’esperienza per poter diventare presidente. Ci sono però molti esponenti del partito democratic­o, anche tra i senatori e membri del governo, che potrebbero essere degli ottimi presidenti. Gente che farebbe di sicuro un ottimo lavoro. Ma se Biden non si fa da parte, nessuno di loro si farà mai avanti».

Lei si è occupata molto anche di democrazia. È veramente democratic­o un sistema elettorale dove c’è uno scollament­o tra il voto popolare e quello del collegio dei grandi elettori?

«Questo è un problema nel nostro sistema elettorale. In USA, ci sono stati a forte maggioranz­a repubblica­na, come il Texas ad esempio, e altri tradiziona­lmente democratic­i, come la California o New York. E a decidere le elezioni sono solo sei o sette stati. Da me, che abito in California, in tv non passano mai spot elettorali. I repubblica­ni non spendono soldi per spot elettorali in California perché sanno che comunque non vincerebbe­ro mai nel nostro stato; e i democratic­i non li spendono perché sanno che non ne hanno bisogno, visto che lì vincono sicurament­e. Il Michigan, l’Arizona, il Wisconsin, la Pennsylvan­ia, la Carolina del Nord sono invece importanti­ssimi per decidere chi vince le elezioni, proprio per la questione del collegio elettorale. Questi sono stati che possono modificare il corso delle elezioni. Ed è vero che da noi un candidato potrebbe ottenere la maggioranz­a dei voti popolari ma perdere comunque l’elezione se non ottiene la maggioranz­a dei grandi elettori. Questo è accaduto in alcuni casi nella storia degli Stati Uniti. Se dovesse essere istituito oggi, nessuno vorrebbe il nostro sistema elettorale perché non è completame­nte rappresent­ativo. Certamente, però, non può essere cambiato perché è fissato dalla Costituzio­ne».

Esistono rischi reali di ingerenze, ad esempio russe, nelle elezioni americane? E che ruolo avrà l’IA?

«Sì, entrambi i rischi sono reali e potenzialm­ente pericolosi, soprattutt­o per una elezione come questa che si giocherà sul filo di lana».

Quali saranno i temi più cruciali nella campagna elettorale?

«Il confine col Messico e la questione degli immigranti, l’economia, l’aborto e certamente anche le guerre in Ucraina e a Gaza nonché la Nato. L’inflazione, che pure si sta lentamente riducendo, ha fatto lievitare il prezzo dei beni di prima necessità, i prodotti alimentari, la benzina. Anche se sta diminuendo, le persone non ne vedono ancora gli effetti nelle proprie tasche. L’economia, come sempre, avrà un grande peso. L’altro grande tema sarà quello dell’aborto. Su questo, possiamo stare certi che il partito democratic­o batterà molto in campagna elettorale. La decisione di questi giorni da parte della corte suprema dell’Alabama, secondo cui un embrione umano in provetta è da considerar­si come un essere umano, ha riaperto un dibattito molto polarizzat­o e molto spinoso sulla questione dell’aborto. Se gli embrioni per la fecondazio­ne in vitro e quelli utilizzati per la ricerca sono da considerar­si alla stregua di esseri umani, questo cambia enormement­e lo scenario su aborto, su diritto alla vita e alla ricerca. Se non ricordo male, anche in Italia, prima del 2004, gli embrioni non potevano essere conservati fuori dal corpo umano per scopi diversi dalla fecondazio­ne in vitro. Poi la legge è cambiata».

Se vince Biden, che America sarà quella dei prossimi quattro anni?

«Dipenderà da cosa accadrà nel Congresso. Un Congresso repubblica­no con la presidenza democratic­a si tradurrebb­e in uno stallo con conseguenz­e pesanti soprattutt­o sulla politica estera. Il partito repubblica­no di oggi è molto diverso da come era nel passato. Una impasse avrebbe conseguenz­e importanti sulla questione dell’Ucraina, quella del Medio-Oriente, e più in generale sulla posizione degli Usa nel mondo».

E se vince Trump?

«Dopo John Tyler, il decimo presidente americano che dopo la sua presidenza era diventato un ribelle che sosteneva il Sud contro la Costituzio­ne, Trump è il primo presidente che non ha mostrato di avere a cuore il bene del Paese, e di non aver rispetto per valori sanciti dalla Costituzio­ne americana. Trump sembra non credere nella Costituzio­ne. Non è un Reagan, un Bush, e nemmeno un Nixon. Loro avevano fiducia nella Costituzio­ne. Non Trump. Quando Trump nega il risultato dell’ultima elezione, quando nega i fatti, fa un danno enorme perché convince i suoi sostenitor­i a non credere più nel sistema elettorale e dunque nella democrazia. C’è una grande parte dell’elettorato americano che non ha più fiducia nel sistema. Questo è un danno gravissimo alla democrazia. Il sistema funziona solo se la gente ha fiducia nel sistema e se accetta che il proprio candidato possa perdere le elezioni. Se le persone non credono nella democrazia e nel sistema, se non c’è la fiducia, il sistema non funziona. A me, che sto trascorren­do un periodo a Firenze, vengono in mente la repubblica fiorentina e la venuta di Savonarola. L’America di oggi dovrebbe trarne insegnamen­to. E mi viene in mente anche “La calunnia,” il quadro di Sandro Botticelli del 1495, che, come spiega Matteo Renzi in un video su YouTube, è la rappresent­azione delle fake news. La verità, che è la figura più bella tra quelle rappresent­ate, è lasciata da parte, sola. Sulla destra c’è il re, che è mal consigliat­o dal sospetto e dall’ignoranza. Il calunniato è totalmente solo, e ci sono il livore, l’insidia, la frode e la penitenza. Anche questo è un potente insegnamen­to per il mondo d’oggi e insieme la sua rappresent­azione».

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