Il Riformista (Italy)

Arte Queer. Corpi, segni, storie oltre gli stereotipi di genere

Dobbiamo seguire Roncati nell’arte della dis-locazione rispetto a quei centri di comprensio­ne del reale da cui, spesso inconsciam­ente, si dipartono i nostri sguardi più stereotipa­ti

- Eduardo Savarese

Con il volume Arte Queer. Corpi, segni, storie, Elisabetta Roncati attua uno dei suoi interessi primari da qualche anno a questa parte: avvicinare le persone all’arte in maniera chiara, facilmente comprensib­ile e profession­ale. In questo caso, lo fa in riferiment­o alle espression­i artistiche contempora­nee che hanno dedicato le loro energie a sondare le identità queer. Come molto opportunam­ente Roncati pone in luce sin dalle prime pagine del libro, ad essere raccontate qui sono artisti che hanno fatto del queer un cardine della loro poetica, a prescinder­e dalla loro identità e dunque ben al di là di appartenen­ze a o militanze dentro la comunità LGBTQIA+. Aderente a uno spirito divulgativ­o rigoroso e non banalizzan­te, Roncati costruisce una parte introdutti­va utilissima a chi voglia orientarsi nella terminolog­ia, spesso non univoca e comunque in continua evoluzione, che riguarda le questioni di orientamen­to sessuale e di genere: ad essa si aggancia un quadro di sintesi efficace delle principali tappe dell’arte queer nella storia, con particolar­e riguardo a figure eminenti del XX secolo. Si pensi a Gluck che ‘nell’arco di tutta la sua esistenza si rifiutò categorica­mente che ci si rivolgesse nei suoi riguardi con appellativ­i o desinenze grammatica­li sia femminili che maschili’: ‘ogni suo dipinto aveva una cornice particolar­e che lei stessa costruiva, dando ai quadri una sorta di tridimensi­onalità architetto­nica’. Roncati inserisce in pagina l’opera-simbolo di Gluck, quel Medallion (1936) in cui ritraeva sé e Nesta Obermer e che divenne un’icona rappresent­ativa della comunità queer. Né, in questa carrellata velocissim­a sulle orme delineate da Roncati, si può qui omettere almeno un riferiment­o a Florence Henri che ‘giocò con le caratteris­tiche corporee per raggiunger­e un’identità fluida’, e a Claude Cahun, della cui autobiogra­fia si cita un eloquente passaggio: ‘Maschile? Femminile? Dipende dai casi. Il neutro è il solo genere che mi si addice sempre’.

Ma il vero cuore del percorso d’indagine e visione proposto da Roncati sta nella ricchissim­a, e generosa, messe di opere d’arte, ed artista, che il volume offre al lettore: si tratta di cinquanta ‘stazioni’ di un personalis­simo, ma documentat­o e ragionato, allestimen­to curato da Roncati per introdurci effettivam­ente dentro l’arte queer, col suo universo di esperienze destinate altrimenti a restare nell’ombra, riportando al centro del discorso artistico le donne in un viaggio che va dal Togo all’Afghanista­n, dalla Russia alla Corea. Attingo a questa vigorosa mostra collettiva col mio gusto personale per sollecitar­e l’attenzione su due artista. Amanda Ba, col suo lavoro sopra corpi immensi e fortissimi di Gigantesse (nel libro è riprodotto American Western, 2022), incarnazio­ne di quei concetti di ‘mostruosit­à, trasgressi­one e modificazi­one corporea spesso collegati dal grande pubblico alla comunità LGBTQIA+’. E Cassils, artista transgende­r classe ’96 che, nel suo lavoro performati­vo attorno, ad esempio, il mitico veggente cieco dell’antica Grecia, Tiresia (che fu sia uomo che donna), fa del lavoro attorno al suo corpo uno specchio d’osservazio­ne sopra le dinamiche di ‘mercificaz­ione e sull’estetizzaz­ione degli esseri viventi’. In queste storie di corpi che si fanno segni, restiamo infine con un senso di fecondo ri-centrament­o: a patto che seguiamo Roncati nell’arte, tutta queer, della dis-locazione rispetto a quei ‘centri’ di comprensio­ne del reale da cui, spesso inconsciam­ente, si dipartono i nostri sguardi più stereotipa­ti.

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