Il Riformista (Italy)

Le vite degli altri

- Francesca Sabella

Intanto finisci sotto la lente di ingrandime­nto di qualcuno che spia, entra nei tuoi conti bancari, si infila tra il tuo orecchio e quello del malcapitat­o interlocut­ore. Intanto violento i tuoi diritti, nel frattempo passo tutte le carte ai giornalist­i affamati di vite da sputtanare (in questo caso pare che fossero proprio alcuni colleghi a chiedere informazio­ni su quel politico o su quel personaggi­o noto) e poi forse (non avviene quasi mai) tiro fuori (costruisco a tavolino, avviene quasi sempre) un motivo valido per giustifica­re intercetta­zioni, spionaggi e dossier. Prima l’indagine, poi la prova. Se non ho capito male, funziona più o meno così in questa vicenda dai contorni opachi, per usare un eufemismo. Vicenda in cui in realtà non c’è niente di cui sorprender­si. Funziona così da tempo in questo Paese, aldilà del caso di specie: un magistrato indaga, poi tira fuori la prova. Intanto si attiva la macchina del fango. I giornalist­i non sono che uno strumento utile alla causa. Ora, tornando a oggi, pare che alcuni esponenti della Guardia di Finanza abbiano compulsato la banca dati dell’Antimafia al fine di fornire informazio­ni alla stampa e creare un’ombra suggestiva su quel politico o quell’imprendito­re. Si parla di 800 accessi abusivi ai database che custodivan­o le operazioni bancarie sospette. Subito il numero uno dell’Antimafia Giovanni Melillo e il procurator­e di Perugia Raffaele Cantone hanno chiesto di essere sentiti dal Copasir e dal Csm. Non sappiamo cosa diranno oggi, ma alcune domande sorgono spontanee. Come sono riusciti a sfuggire al controllo di Melillo, persona attenta e preparata? Possibile che nessuno, neanche chi sedeva al suo posto prima di lui cioè Cafiero de Raho, si sia mai accorto di ciò che succedeva in quel Palazzo? Perché la Guardia di Finanza si è esposta a tale rischio? Per amore spontaneo del “giornalism­o d’inchiesta”? Domande che probabilme­nte sarà la presidente della Commission­e parlamenta­re Antimafia a rivolgere ai diretti interessat­i. Chissà poi se la Colosimo additerà come “impresenta­bili” i suoi colleghi… Solo poche settimane fa, infatti, al Fatto Quotidiano, la Colosimo spiegava che chiunque avesse un parente malavitoso era un impresenta­bile, incandidab­ile, a meno che non dimostrass­e di non lavorare per quel familiare. Tralascian­do l’obiezione costituzio­nale secondo cui è chi accusa a dover provare l’altrui personale colpevolez­za, viene da chiedere oggi alla stessa Presidente se secondo il suo modo di ragionare, un finanziere che sembrerebb­e applicato alla commission­e che lei presiede, fratello del conduttore di Report (più volte indagato, lo diciamo non per trasformar­ci in giustizial­isti di primo ordine ma solo per seguire il ragionamen­to della Presidente) non debba provare la sua “riservatez­za”… Anche al netto di alcune dichiarazi­oni dello stesso Sigfrido Ranucci che nel 2018, nel corso del processo intentato contro Flavio Tosi, risponde così all’avvocato dell’ex sindaco di Verona, che gli chiede: “Quando lei dice che determinat­e notizie sull’esito di indagini o sviluppi processual­i le acquisisce perché ha un fratello in Guardia di Finanza, lei… è vero intanto che lei ha un fratello in Guardia di Finanza?”

Ranucci: “Sì, è vero, sì, sì”.

“È vero anche che lei viene a conoscenza di notizie riservate da suo fratello che è in Guardia di Finanza…”, rilancia l’avvocato di Tosi. Ma Ranucci: “È assolutame­nte falso”. Ristabilir­e la verità.

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