Tagliate le unghie allo Stato, please E ogni euro recuperato all’evasione abbatta le tasse
Mentre l’Argentina di Milei, individualista iperliberista, taglia la spesa pubblica a colpi di motosega e riporta in attivo i conti pubblici argentini (sia pur di poco e provvisoriamente), in Italia siamo ancora zero a zero sul fronte dell’adeguamento del pesantissimo settore pubblico a quello molto più efficiente del privato.
Per questo servirebbe una forza liberale gravida di idee e assetata di futuro, in una nazione in cui si buttano miliardi di soldi pubblici (che sono di tutti, non di nessuno, e dunque andrebbero rispettati e investiti bene) in formazione che non forma nessuno, sussidi inutili, e dove si gestisce l’erogazione pubblica a mo’ di ammortizzatore sociale senza alcun beneficio per nessuno, e costi enormi per chiunque.
La spesa pubblica italiana è in costante, esorbitante crescita, da 50 anni, cioè dalla seconda metà degli anni ‘70. Negli ultimi dieci anni è addirittura incredibilmente raddoppiata. Non lenisce la povertà, aumentata persino sotto lo scempio del reddito di cittadinanza, e richiede un crescente (anche quello, da 50 anni) prelievo fiscale dalle tasche degli italiani a copertura della stessa. Ma riprova del fatto che lo Stato più ha, più spende, e più vuole, stanno i dati sull’evasione recuperata. Cresce ogni anno, e quest’anno segna il record di quasi 25 miliardi (24,7, in aumento del 22% sull’anno precedente, quando se ne erano recuperati 20). Eppure, non un solo euro di questi recuperati va a coprire un abbassamento delle tasse. Sarebbe civile che sui soldi recuperati all’evasione fosse posto un vincolo di spesa: ogni euro recuperato va ad abbattere le imposte. L’Italia potrebbe tornare a spendere e crescere. Perché è questo che attenuerebbe la povertà, della cui cura tutti si riempiono la bocca.
Anche sull’aggressione al conseguente debito pubblico, inevitabilmente in crescita anch’esso a ruota di spesa pubblica e tasse per coprirla solo in parte, servono scelte coraggiose. Non si possono rimontare ogni anno 96 miliardi di interessi da restituire come accaduto lo scorso anno, o i 98 che sono previsti quest’anno e il prossimo. È come voler fare i 100 metri con una lavatrice sulle spalle. Non vinci. Serve allora una voce liberale contro una contribuzione monstre (non lamentatevi degli scarsi salari, se un datore di lavoro deve sborsare due volte e mezzo il netto che da al lavoratore perché la differenza se la ciuccia lo Stato, prendetevela con lui, non con datore e lavoratore che sono poveri in due) a fronte di cui anche solo fare carta d’identità o passaporto è un calvario, con i dirigenti degli uffici pubblici, dove tutti sono illicenziabili, che si scusano: “Siamo ancora in lavoro agile” (con la pandemia finita da due anni). Serve chi dica che nel pubblico, dove i dipendenti in pandemia non hanno perso un solo posto di lavoro e un solo euro di stipendio, si deve cambiare. E che vanno aiutate partita iva e autonomi, che nella stessa pandemia vennero chiuse in casa con un dpcm senza nemmeno un dibattito parlamentare, private di lavoro e compenso, umiliate da un bonus di 600 euro (spesso non erogato per fallimento dei click day organizzati dall’Inps, cioè sempre dallo Stato) mentre i percettori di reddito di cittadinanza ne prendevano 780. Serve chi voglia rimediare al fatto che in un mondo dove velocità e puntualità sono sempre più ricercate e acquisite, complice anche il processo tecnologico che lo Stato italiano rifiuta, in un paese che tassa anche l’ossigeno una pizza arrivi prima di un’ambulanza e in generale tutto quel che tocca lo Stato non funzioni nemmeno lontanamente. E serve un’agenda per tagliare la spesa pubblica (perché non nominare un commissario politico alla spending review?), riformare l’istruzione accorciandola e adeguandola al mondo che verrà; pensare a togliere allo Stato anche la gestione di molti beni culturali che rendono troppo poco denaro e posti di lavoro, annientare la burocrazia in nome di maggior libertà dei privati scegliendo la concorrenza anziché il corporativismo. Serve chi dica: diamo l’Italia agli italiani (privati), e facciamo i soldi. Lo Stato ci costi meno, recuperiamo libertà fiscale e di spesa. Dubito che esca qualcosa di simile nei prossimi mesi, ma perché non sperarci.