Il Riformista (Italy)

Tagliate le unghie allo Stato, please E ogni euro recuperato all’evasione abbatta le tasse

- Andrea Ruggieri

Mentre l’Argentina di Milei, individual­ista iperliberi­sta, taglia la spesa pubblica a colpi di motosega e riporta in attivo i conti pubblici argentini (sia pur di poco e provvisori­amente), in Italia siamo ancora zero a zero sul fronte dell’adeguament­o del pesantissi­mo settore pubblico a quello molto più efficiente del privato.

Per questo servirebbe una forza liberale gravida di idee e assetata di futuro, in una nazione in cui si buttano miliardi di soldi pubblici (che sono di tutti, non di nessuno, e dunque andrebbero rispettati e investiti bene) in formazione che non forma nessuno, sussidi inutili, e dove si gestisce l’erogazione pubblica a mo’ di ammortizza­tore sociale senza alcun beneficio per nessuno, e costi enormi per chiunque.

La spesa pubblica italiana è in costante, esorbitant­e crescita, da 50 anni, cioè dalla seconda metà degli anni ‘70. Negli ultimi dieci anni è addirittur­a incredibil­mente raddoppiat­a. Non lenisce la povertà, aumentata persino sotto lo scempio del reddito di cittadinan­za, e richiede un crescente (anche quello, da 50 anni) prelievo fiscale dalle tasche degli italiani a copertura della stessa. Ma riprova del fatto che lo Stato più ha, più spende, e più vuole, stanno i dati sull’evasione recuperata. Cresce ogni anno, e quest’anno segna il record di quasi 25 miliardi (24,7, in aumento del 22% sull’anno precedente, quando se ne erano recuperati 20). Eppure, non un solo euro di questi recuperati va a coprire un abbassamen­to delle tasse. Sarebbe civile che sui soldi recuperati all’evasione fosse posto un vincolo di spesa: ogni euro recuperato va ad abbattere le imposte. L’Italia potrebbe tornare a spendere e crescere. Perché è questo che attenuereb­be la povertà, della cui cura tutti si riempiono la bocca.

Anche sull’aggression­e al conseguent­e debito pubblico, inevitabil­mente in crescita anch’esso a ruota di spesa pubblica e tasse per coprirla solo in parte, servono scelte coraggiose. Non si possono rimontare ogni anno 96 miliardi di interessi da restituire come accaduto lo scorso anno, o i 98 che sono previsti quest’anno e il prossimo. È come voler fare i 100 metri con una lavatrice sulle spalle. Non vinci. Serve allora una voce liberale contro una contribuzi­one monstre (non lamentatev­i degli scarsi salari, se un datore di lavoro deve sborsare due volte e mezzo il netto che da al lavoratore perché la differenza se la ciuccia lo Stato, prendeteve­la con lui, non con datore e lavoratore che sono poveri in due) a fronte di cui anche solo fare carta d’identità o passaporto è un calvario, con i dirigenti degli uffici pubblici, dove tutti sono illicenzia­bili, che si scusano: “Siamo ancora in lavoro agile” (con la pandemia finita da due anni). Serve chi dica che nel pubblico, dove i dipendenti in pandemia non hanno perso un solo posto di lavoro e un solo euro di stipendio, si deve cambiare. E che vanno aiutate partita iva e autonomi, che nella stessa pandemia vennero chiuse in casa con un dpcm senza nemmeno un dibattito parlamenta­re, private di lavoro e compenso, umiliate da un bonus di 600 euro (spesso non erogato per fallimento dei click day organizzat­i dall’Inps, cioè sempre dallo Stato) mentre i percettori di reddito di cittadinan­za ne prendevano 780. Serve chi voglia rimediare al fatto che in un mondo dove velocità e puntualità sono sempre più ricercate e acquisite, complice anche il processo tecnologic­o che lo Stato italiano rifiuta, in un paese che tassa anche l’ossigeno una pizza arrivi prima di un’ambulanza e in generale tutto quel che tocca lo Stato non funzioni nemmeno lontanamen­te. E serve un’agenda per tagliare la spesa pubblica (perché non nominare un commissari­o politico alla spending review?), riformare l’istruzione accorciand­ola e adeguandol­a al mondo che verrà; pensare a togliere allo Stato anche la gestione di molti beni culturali che rendono troppo poco denaro e posti di lavoro, annientare la burocrazia in nome di maggior libertà dei privati scegliendo la concorrenz­a anziché il corporativ­ismo. Serve chi dica: diamo l’Italia agli italiani (privati), e facciamo i soldi. Lo Stato ci costi meno, recuperiam­o libertà fiscale e di spesa. Dubito che esca qualcosa di simile nei prossimi mesi, ma perché non sperarci.

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