La famiglia che opprime Il romanzo di Sara Mesa tra le mura domestiche
Unirsi in matrimonio e fare figli come progetto personale, sociale, e forse perfino etico. Sara Mesa torna con un romanzo, “La famiglia” (La nuova frontiera) nella traduzione di Elisa Tramontin, che muove magistralmente il racconto corale di un padre, una madre, due bambini e due bambine, stretti nelle maglie di un’istituzione millenaria che riguarda tutti e che a tutti parla, sia nel calore dell’appartenenza a essa sottesa, sia nel suo rovescio: l’autoritarismo, i non detti, o anche la vergogna, il bisogno di omettere e di mentire. “In questa famiglia non ci sono segreti”, sentenzia il padre, mentre sventola il diario della figlia con apposito lucchetto. Sottile è il confine fra la libertà e la castrazione, in questo nucleo di affetti capitanato da una coppia di genitori comuni, di classe media, dalle cui bocche sgorgano parole limpide che inneggiano spesso al progresso e alla giustizia. Serve calibrare gli elementi narrativi con estrema cautela per mettere in scena un dramma borghese che si ripari dai cliché e che riesca a immergerci in un’atmosfera sempre tesa ma mai rovinosa, e anzi, sospesa fra il torto e la ragione, la legittimità e l’abuso, la cura amorevole e la violenza. Sara Mesa compone un arco drammaturgico che abbraccia diversi anni e in cui si dipanano le parabole di diversi personaggi, figli destinati un giorno a tramutarsi in genitori e magari a ripercorrere gli stessi innumerevoli sbagli. Il padre è rigido, ottuso, di tanto in tanto predatorio, di rado fasciato dalle sue debolezze: “A volte era lui a portare a casa, inaspettatamente, cannoli alla panna e cioccolato che comprava nella pasticceria del quartiere. Gli piaceva fare quel genere di sorprese, apparire come un re magio e distribuire i suoi doni, anche se il giorno dopo bisognava ritrovare il pugno di ferro.” Un uomo convinto che l’integrità morale sia immancabilmente legata all’integrità del corpo, che deve essere attento a non eccedere, un corpo in regola, quindi, sano e curato, che nutra l’obiettivo di procreare altri corpi. I figli come missione. “Pensa se non li facessimo, pur essendo sposati e con tutte le carte in regola, non saremmo una famiglia, saremmo soltanto una coppia.” È il terrore di non legarsi all’altro con un patto di sangue, la voragine della crepa che si apre. È il vuoto della mancanza, la profondità di una solitudine che non potrebbe emendarsi neanche con cento figli. Oggetto della propria etica, per un uomo tanto granitico nelle sue convinzioni, così retto e prevedibile nella progettualità in cui tenta di incastonare la propria vita e quella degli altri, è la tradizione. E dunque, la famiglia. L’ethos che lo muove lungo l’arco della storia non conosce enigmi e, in questa forma di ignoranza, non si concede di riconoscere l’alterità. Difficile rompere con una tale figura autorevole, quando si è piccini. Quasi impossibile mettere in discussione un simile padre. Come dubitare, infatti, del potere? Ma è qui che s’innesta il percorso di crisi, e di crescita, dei suoi figli. Quando al più piccolo, il meno oppresso per vantaggio di nascita e quindi il più audace e spudorato, viene insegnato il senso dello stare insieme, non appena la maestra a scuola mostra un singolo rametto che si rompe facilmente e poi un mucchio di rami legati in uno spago a formare un solido mazzo, l’illusione è che l’appartenenza sia sempre sinonimo di forza. Per smentire questo inganno, l’autrice si muove felpata fra le sue pagine senza emettere mai un giudizio, al contrario, alternando le luci e le ombre dei personaggi e al contempo riuscendo a far trapelare da questa famiglia in apparenza legata e felice tutte le ipocrisie, le piccole violenze, ogni inganno, gli inconfessabili segreti. “Chiunque li avesse visti dal di fuori avrebbe pensato bene di loro: brave persone che si congedavano da un loro caro, non era così?”. Seppure non possano salvarci dalla realtà, è a questo che in fondo servono i libri, a porci la stessa domanda: non è così? E a farne sbocciare altre e altre ancora mentre, in cerca di una risposta, si va a fondo, oltre le apparenze e dietro le facciate.