Gli Houthi proseguono con la loro guerra colpito cargo greco con un missile
Gli Houthi rilanciano. Ieri, la milizia yemenita ha colpito una nuova imbarcazione a largo dello Yemen, la True Confidence, nave battente bandiera delle Barbados ma di proprietà greca. L’attacco è avvenuto nel Golfo di Aden e ha provocato l’abbandono della nave da parte dell’equipaggio, con alcuni uomini che, nel momento in cui scriviamo, risultano dispersi. L’episodio rientra perfettamente nello schema della guerra avviata dagli Houthi con l’inizio del conflitto nella Striscia di Gaza. E se da un lato conferma la pericolosità della minaccia nei riguardi delle navi commerciali che solcano le acque tra Aden e il Mar Rosso, dall’altro certifica anche un dato ormai incontrovertibile: gli Houthi non vogliono fermare questo semplice (ed efficace) strumento di pressione nei confronti di Israele e del commercio globale. La milizia sciita ha tutto l’interesse a mantenere alta l’attenzione dell’Occidente. E questo per diverse ragioni. Con questa escalation, la forza yemenita si è costruita l’immagine di un protagonista indiscusso della geopolitica mediorientale. Allo stesso tempo, con questi continui raid riesce a imporre un costo molto elevato ai Paesi coinvolti: sia per il commercio, sia per i costi che hanno le operazioni militari messe in piedi contro questa minaccia. Infine, per gli Houthi questa guerra serve anche per mostrarsi diversi rispetto al loro dominus iraniano: dipendenti dai suoi mezzi, certo, ma anche capaci di andare per la propria strada pure quando Teheran ha dato l’ordine alle sue milizie in giro per il Medio Oriente di evitare di alzare troppo la tensione per non rimanere intrappolata in un conflitto regionale contro Israele e Stati Uniti. Al momento, i ribelli hanno deciso di legare la loro politica alla situazione nella Striscia di Gaza, ribadendo che tutto questo è fatto per sostenere la causa palestinese. Per gli osservatori una semplice giustificazione di propaganda, che tuttavia è anche uno dei molti motivi per cui il presidente Joe Biden vuole raggiungere presto una tregua tra Hamas e lo Stato ebraico. Il gruppo palestinese, ieri, ha assicurato di essere “flessibile” sulle trattative, e ha rilanciato le sue richieste per arrivare a un accordo con Israele. Tra queste, oltre al ritiro completo delle truppe israeliane da Gaza, il ritorno degli sfollati dal nord dell’exclave e le garanzie sull’arrivo massivo degli aiuti umanitari, vi sarebbero anche una serie di nomi illustri tra i detenuti palestinesi che lo Stato ebraico dovrebbe rilasciare in cambio degli ostaggi. Tra questi nomi, secondo alcuni media, potrebbe esserci quello di Marwan Barghouti, leader della seconda intifada e tra i personaggi più popolari dell’establishment di Hamas. I colloqui al Cairo faticano a decollare. E dopo gli avvertimenti dello stesso Biden, che ha ricordato nei giorni scorsi come la decisione finale sia ormai completamente nelle mani dei miliziani palestinesi, la speranza è che la mediazione di Egitto, Qatar e Usa porti ad alcuni risultati concreti prima dell’inizio del Ramadan. Ieri, intanto, le Israel defense forces hanno ripreso le loro ondate di arresti nei confronti dei miliziani di Hamas e del Jihad islamico palestinesi catturati durante le operazioni nella Striscia. Sarebbero 250 gli uomini dei gruppi presi ieri dalle Tsahal durante l’ultimo raid a Khan Younis. E tra gli arrestati, vi sarebbero anche dei partecipanti all’assalto del 7 ottobre come membri della forza Nukhba di Hamas, il reparto speciale della milizia. Le incursioni sono state condotte dalle unità Maglan ed Egoz, dallo Shayetet 13 e dallo Shin Beth: un lavoro congiunto di varie forze d’élite dello Stato ebraico. Per il primo ministro Benjamin Netanyahu una boccata d’ossigeno in una delle fasi più difficili della guerra. E che arriva nel giorno in cui una Commissione statale d’inchiesta lo ha individuato come responsabile (pur senza conseguenze a livello di provvedimenti) della strage del monte Meron del 2021, quando in una calca morirono 45 ebrei ortodossi.