Il Riformista (Italy)

Cinque mesi dal 7 ottobre Negoziato fermo, pressing sugli aiuti umanitari

I funzionari statuniten­si hanno premuto sul leader di opposizion­e per mantenere alta l’attenzione sulla questione umanitaria nella Striscia di Gaza: tema che nell’amministra­zione Biden tiene banco da settimane

- Lorenzo Vita

Israele è “in una guerra esistenzia­le”. Una guerra che “deve vincere” e in cui “colpirà i nostri nemici fino alla vittoria totale”, facendo anche di tutto per “individuar­e gli ostaggi”. Secondo il Times of Israel, sono queste le parole che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha usato nel corso di una cerimonia nella scuola ufficiali Bahad 1. E sono parole che confermano quello che il premier dello Stato ebraico dice da cinque mesi sia suo Paese e ai funzionari statuniten­si impegnati in una complicata manovra diplomatic­a per evitare una guerra logorante e senza via d’uscita. Netanyahu sembra tirare dritto, complice anche il dilemma che si trova davanti. Interrompe­re il conflitto senza avere sconfitto Hamas è al momento uno scenario impensabil­e, che condannere­bbe la sua leadership già pesantemen­te offuscata dal disastro del 7 ottobre e dalla successiva guerra. Ma anche proseguire senza una chiara “exit strategy” rischia di essere pericoloso, soprattutt­o perché da Washington, Joe Biden ha già fatto presente che questa divergenza rispetto ai piani Usa rischia di isolare in maniera sempre maggiore il governo israeliano. E questo non solo con i Paesi arabi, ma anche con gli alleati occidental­i. Un segnale è giunto anche dal ritiro da parte di Israele della nomina come ambasciato­re in Italia di Benny Kashriel, ex sindaco dell’insediamen­to di Maale Adumi, e che secondo i media è stato “rifiutato” dal governo di Roma. Il messaggio dagli Usa era arrivato forte e chiaro anche con l’invito Oltreocean­o rivolto Benny Gantz, ex generale e rivale politico di Netanyahu, nonché attuale membro del gabinetto di sicurezza. “Finire la guerra senza smilitariz­zare Rafah sarebbe come mandare i vigili del fuoco per spegnere solo l’80% di un incendio”, aveva detto Gantz ai funzionari statuniten­si. E queste parole riferite dal Wall Street Journal certifican­o che per l’ex ministro della Difesa israeliano l’opzione di un’avanzata su Rafah è essenziale per raggiunger­e gli obiettivi della guerra. Tuttavia, Gantz sembra essere considerat­o dall’amministra­zione Biden un interlocut­ore preferibil­e rispetto a Netanyahu, complici anche le pressioni interne che subisce dalla destra radicale. Non amata da Biden né da molti apparati interni a Washington. E anche per questo motivo i funzionari statuniten­si hanno premuto sul leader di opposizion­e per mantenere alta l’attenzione sulla questione umanitaria nella Striscia di Gaza: tema che nell’amministra­zione Biden tiene banco da settimane. Al punto che il Washington Post ha riferito di discussion­i interne al governo Usa per fare in modo che Israele non possa usare armi statuniten­si nell’offensiva contro Rafah. Per gli Usa è essenziale riuscire a evitare il disastro umanitario. Washington sostiene la guerra di Israele contro Hamas. Ma sia Biden che i suoi funzionari hanno più volte ribadito le linee rosse riguardo la protezione dei civili e l’accesso degli aiuti umanitari nella Striscia, ritenute condizioni imprescind­ibili per confermare il loro supporto alla causa israeliana. Lo ha chiarito allo stesso Gantz anche il ministro degli Esteri britannico, David Cameron, che con una nota stranament­e dura rispetto al tipico modus operandi di Londra, ha detto che è “profondame­nte preoccupat­o” per quanto potrà accadere a Rafah. “Ancora una volta ho fatto pressione su Israele perché aumenti il flusso di aiuti umanitari. Non stiamo vedendo migliorame­nti sul campo. Questo deve cambiare”, ha detto Cameron in un comunicato pubblico. E questo messaggio serve anche nei riguardi del primo ministro, impegnato a gestire una guerra in cui la pressione internazio­nale aumenta di giorno in giorno. Il pressing si sente anche dall’Unione europea. Ieri l’Alto rappresent­ante per la politica estera, Josep Borrell, ha scritto su X che “tutti coloro che sono preoccupat­i per la situazione a Gaza dovrebbero fare pressione sul governo israeliano affinché garantisca il libero accesso umanitario alla terra e non blocchi i convogli. Le altre opzioni non bastano: i lanci aerei sono buoni ma insufficie­nti, i corridoi marittimi servono ma richiedono tempo. E il tempo è essenziale”. L’ipotesi del corridoio marittimo, studiata dagli Usa, è tornata di nuovo in auge dopo la strage dei camion di Gaza e con l’inizio dei lanci dagli aerei. Cipro si è da tempo proposto come hub per questo piano, sia per la vicinanza geografica alla Striscia sia per la stretta sinergia con Israele. E a questo proposito, il giornale Yedioth Ahronoth ha lanciato l’indiscrezi­one di una visita segreta negli Emirati Arabi Uniti del generale Avi Gil, consiglier­e militare di Netanyahu, che avrebbe discusso con Abu Dhabi della possibile realizzazi­one di questo piano e del coinvolgim­ento del governo emiratino. Lo scenario coinvolger­ebbe anche l’Europa e l’Italia. Ieri il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha detto di avere assicurato alla presidente della Commission­e Ue Ursula von der Leyen “l’adesione dell’Italia alla proposta che si fa sempre più concreta di un corridoio marittimo umanitario”. Intanto, i negoziati in corso con Hamas al Cairo, e mediati da Egitto, Qatar e Stati Uniti, sono in una fase di stallo. La delegazion­e palestines­e è rientrata ieri a Doha e un alto funzionari­o di Hamas ha detto che l’organizzaz­ione “sta aspettando la risposta ufficiale finale dal nemico”. “Le risposte iniziali non soddisfano i requisiti minimi per la cessazione permanente delle ostilità”, ha proseguito l’esponente del gruppo. E la speranza è che i colloqui possano riprendere già dalla prossima settimana, mentre sono ormai sempre meno quelle di vedere un’intesa prima dell’inizio del Ramadan. “Le differenze si stanno riducendo. Non è ancora un accordo. Tutti guardano al Ramadan, che si avvicina. Non posso dirvi che avrà successo, ma non è ancora crollato”, ha detto l’ambasciato­re americano in Israele, Jack Lew. E questo messaggio conferma l’impegno di Washington a fare in modo che si arrivi a un accordo su liberazion­e degli ostaggi e tregua nella Striscia di Gaza.

“Per gli Usa è essenziale riuscire a evitare il disastro umanitario ”

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