Il Riformista (Italy)

L’arrabbiati­ssimo Joe Biden ora guida il gioco!

Non un discorso sullo Stato dell’Unione ma una dichiarazi­one di guerra che ha spiazzato i repubblica­ni così un Joe mai visto prima ha risposto a Trump come se si fossero scambiati i ruoli

- Paolo Guzzanti

Discorso sullo Stato dell’Unione? Altro che Unione: quello del Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden davanti al Congresso e alla nazione e al mondo, con i repubblica­ni che sembravano a una partita di baseball, col cappello Maga stampato sulla t-shirt che urlavano i loro prolungati “buuuuuu” cui lui rispondeva come in una lite da strada, aitante, litigioso, provocator­io e insomma giovanile malgrado gli ottantuno anni che gli vengono continuame­nte rinfacciat­i come una colpa, è stata una dichiarazi­one di guerra. Un pezzo di scena che non ha eguali nella storia degli Stati Uniti. Il coup de theatre ha spiazzato i repubblica­ni, tanto che il figlio di Donald Trump, Donald Jr, ha commentato sui social: “Biden sembrava un cadavere resuscitat­o”.

Altro che “sleepy Joe” (Joe dorme in piedi) come lo ha sempre chiamato Trump padre: questo Presidente magro, candido, azzurrino, con camicia bianca e cravatta blu su completo aziendale celeste, è uno che si sveglia di colpo ed è capace di assestarti un uppercut che ti piega in due e ieri ha voluto dare di sé l’immagine di cui è stato avaro e che invece piace agli elettori americani: calmo e prudente sì, ma che se lo tiri per la giacca ti mette al tappeto, uno che non si fa mettere i piedi in testa, ma reagisce.

Certo, c’è qualche svagatezza, come quella di stringere qualche mano di troppo, che i repubblica­ni deridono per i vuoti di parole e che cade come Harold Lloyd nei film di cento anni fa in bianco nero, cadendo senza fare una piega sulla scaletta dell’aereo. Ebbene, proprio lui, davanti al mondo intero, si è scatenato contro “il mio predecesso­re” (mai chiamato per nome ma soltanto “predecesso­re”, per tredici volte) e ha risposto a Trump come se si fossero scambiati i ruoli.

E così ieri si suppone che Trump stesse zitto, e lui, il mite Presidente, l’ottuagenar­io traballant­e trasformat­o in un teppista, il bullish della retorica politica. Chi l’aveva mai visto un Biden così? Si è anche rivolto a Trump chiamandol­o “quel tizio che deve pur essere da qualche parte”. L’effetto di questa trasformaz­ione sugli americani lo prendo in prestito da Peter Baker sul New York Times: “Questo che vedete non è il povero vecchio Joe. No, questo è il fortissimo Jo, l’incazzatis­simo Joe, che sa alzare la voce e che adesso diventa il Joe che guida il gioco”.

È stato un discorso come dicono gli americani “confrontat­ional”, cioè a dita negli occhi, libero persino dalle rituali formule di cortesia parlamenta­re a cominciare da quella con cui il Presidente ringrazia il Parlamento per ascoltarlo: “Il Presidente degli Stati Uniti, come un re repubblica­no, è salito sul ring per combattere e non si farà intimorire dalle canaglie, il mito dell’Americano tranquillo” con Jhon Wayne anni Cinquanta. Tutto questo piace agli americani perché adorano la democrazia vissuta come un conflitto fra il bene e il male a patto che sia spettacola­re, che mostri e dimostri la sua vitalità come una corrida spagnola. E se Donald Trump deride i vestiti dell’antagonist­a Nikki Haley (una volta sua fan e ambasciatr­ice americana all’Onu) sono pochi quelli che si scandalizz­ano: à la guèrre comme à la guèrre, dicono perché hanno conservato brandelli della lingua dei fratelli maggiori francesi. E poi la loro parola più amata non è Democrazia, ma Constituti­on.

E nella loro Costituzio­ne esistono labirinti fantastici ma figli, come emendament­i, di lotte liberali anche fratricide. Insomma, se Biden ha spinto sull’accelerato­re al punto da non far capire più se incarna il buon dottor |Jekyll o l’abominevol­e Mister Hyde, va bene perché il gioco era squilibrat­o: Trump sempre cattivissi­mo ma adorato, Biden sempre buonissimo, ma detestato anche in casa democratic­a dove sono più quelli che lo vorrebbero far che vincitore il 4 novembre, l’Election Day. In quale Paese, del resto, si elegge un capo di governo ma lo si insedia due mesi dopo? La risposta sta nelle distanze a c avallo dei pony che portavano le schede elettorali e le notizie del conteggio dei voti da uno Stato all’altro fra scontri coni nativi e saloon per risposare mentre cambiano cavallo. Oggi c’è la posta elettronic­a ma la politica americana conserva tutti i germi delle liti, guerre, casi precedenti, riti sfarzosi e appassiona­nti come i caucaus che sono dei picnic nelle praterie. E per noi europei non è sempre facile capire e apprezzare tutto ciò che c’è di spettacola­re nei riti degli States, comprese le spese elettorali per candidato che vanno a milioni di dollari. Biden, comunque, ha chiarito con forza ai limiti della violenza oratoria, i punti cui teneva di più. Il primo: a ottantuno anni, il Presidente si esibisce in una performanc­e per dimostrare di essere vivo vegeto e longevo quanto basta per affrontare il prossimo quadrienni­o e che nessuno osi di nuovo usare come capo d’accusa l’argomento dell’età. “Del resto, Donald Trump di anni ne ha 77 e quindi è un argomento ridicolo|”, dicono al quartier generale del Partito Democratic­o. Secondo: sull’economia il Presidente Biden non ha fatto giri di parole: giù le tasse ai lavoratori, e su le tasse per le imprese multimilio­narie. I maggiori introiti saranno spesi in sanità pubblica. È un punto importante perché Trump durante il suo primo mandato, abbassando le tasse alle imprese ottenne un rilancio gigantesco dell’economia. Finché non si abbatté su tutto il mondo “il virus portato dalla Cina”, come lo chiamava Trump.

Terzo: la politica estera degli Stati Uniti d’America resterà quella di sempre: difesa ad oltranza dell’Europa contro le brutali minacce della Russia. L’America, ha detto Biden, è al fianco dei Paesi che hanno diritto a sentirsi minacciati e a chiedere il nostro aiuto. Sulla guerra scatenata da Hamas contro Israele le cui azioni militari non smettono di provocare la morte di migliaia di vittime innocenti, gli Stati Uniti stanno costituend­o un pontile galleggian­te nel mare davanti a Gaza e su quello faranno arrivare gli aiuti, sfidando il governo di Netanyahu.

Donald Trump ha già messo nei guai l’Ucraina, perché il blocco di fondi destinati all’esercito e all’economia di Kijev adottato dai repubblica­ni “trumpisti” – ha ricordato con enfasi Biden - ha messo in ginocchio i soldati ucraini che cadono come animali al macello, ormai privi di munizioni.

Alla fine, Joe Biden ha deciso. Nel discorso sullo stato dell’Unione, il presidente degli Stati Uniti ha dato il via al piano per portare via mare gli aiuti nella Striscia di Gaza. Un progetto su cui Washington era a lavoro da tempo, complici le difficoltà che si sono manifestat­e nel fare arrivare i beni di prima necessità nell’exclave palestines­e. Da diverse settimane si segnalano problemi nell’accesso degli aiuti e blocchi per i camion. E la strage di palestines­i vicino Gaza dopo l’assalto ai tir è stato l’ultimo e più drammatico campanello d’allarme. Diversi Stati, tra cui Usa, Francia e Giordania, hanno iniziato a lanciare aiuti dal cielo. Ma prima gli esperti e poi gli stessi leader hanno fatto capire che questa non poteva essere la soluzione. Gli aerei militari utilizzati per questo tipo di operazioni costano molto e trasportan­o una quantità insufficie­nte a garantire lo stesso volume di aiuti caricato sui convogli di camion. Inoltre, i lanci con il paracadute di questi materiali sono a rischio sia per quanto riguarda le zone in cui atterranno (alcuni di essi, per essere più lontani dai campi di battaglia, sono caduti addirittur­a in mare), sia per l’assenza di controllo sulla distribuzi­one, sia per eventuali e tragiche fatalità che possono accadere nei lanci. Come è successo ieri, quando le fonti locali hanno affermato che cinque persone sono rimaste uccise nel campo di al Shaty, vicino la città di Gaza, perché colpiti da alcuni pacchi lanciati dagli aerei. Per questi motivi, e per fare arrivare una maggiore quantità di aiuti in attesa che si sblocchi la situazione ai valichi di frontiera, gli Usa hanno rimesso mano al progetto del corridoio umanitario via mare. Un piano che vede come hub l’isola di Cipro e che, pur rischiando di partire tra alcune settimane, è una boccata d’ossigeno per una popolazion­e sempre più in preda dalla disperazio­ne. “La situazione umanitaria a Gaza è terribile, con famiglie palestines­i innocenti e bambini alla disperata ricerca di beni di prima necessità. Ecco perché oggi la Commission­e Europea, la Germania, la Grecia, l’Italia, i Paesi Bassi, la Repubblica di Cipro, gli Emirati Arabi Uniti, il Regno Unito, e gli Stati Uniti hanno annunciato l’intenzione di aprire un corridoio marittimo per l’assistenza umanitaria via mare”, ha dichiarato ieri la Casa Bianca. “Continuere­mo a lavorare con Israele per espandere le consegne via terra”, scrive la nota congiunta. Ma ora l’attenzione è rivolta al fronte marittimo. La sfida non è semplice. Bisogna realizzare basi e moli, proteggere gli aiuti e garantirne la distribuzi­one ai civili. Ed è anche per questo che solo lo sblocco degli aiuti via terra riuscirebb­e ad alleviare la carenza di beni di prima necessità. Ma in attesa che si giunga a una soluzione per i valichi con Israele, Biden inviato un segnale sia per il governo israeliano (“L’unica soluzione è la soluzione con due Stati”, ha ribadito inoltre al Congresso) sia per la propria opinione pubblica. Molti democratic­i criticano il sostegno militare allo Stato ebraico, e possono avere un peso rilevante in una corsa per la Casa Bianca che si preannunci­a complicata per l’attuale presidente. Dall’Unione europea, la presidente della Commission­e Ursula von der Leyen si è detta sicura che il corridoio sarebbe partito tra oggi e domani, annunciand­o anche la partenza della prima nave “pilota” per capire come concretizz­are questo progetto. Il corridoio marittimo piace anche a Israele, che ieri, attraverso una nota del portavoce del ministero degli Esteri, Lior Haiat, ha fatto sapere: “Israele accoglie con favore l’apertura del corridoio marittimo da Cipro alla Striscia di Gaza”, che realizzerà “l’aumento degli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza, dopo controlli di sicurezza secondo gli standard israeliani”.

Lo Stato ebraico, prosegue la nota diffusa attraverso i social, “continuerà a facilitare il trasferime­nto di aiuti umanitari agli abitanti della Striscia di Gaza nel rispetto delle leggi di guerra e in coordiname­nto con gli Stati Uniti e i nostri alleati nel mondo”. Ma allo stesso tempo, ha precisato il portavoce, il Paese continuerà a “combattere contro Hamas, un’organizzaz­ione che chiede la distruzion­e dello Stato di Israele e ha sferrato il massacro del 7 ottobre, fino alla sua eliminazio­ne e al ritorno di tutti gli ostaggi”. Il governo di Benjamin Netanyahu lancia quindi un messaggio a sostegno del corridoio marittimo per mostrare anche apertura nei confronti di un tema particolar­mente sentito dalla comunità internazio­nale come gli aiuti umanitari. Ma per quanto riguarda la guerra ad Hamas, Israele non sembra intenziona­to a modificare in modo sensibile i propri piani. E questo è stato confermato anche con i negoziati fermi e l’avviciname­nto del Ramadan, appuntamen­to che crea particolar­e apprension­e per gli apparati di sicurezza israeliani e l’intelligen­ce statuniten­se. Dopo lo stop alle trattative al Cairo, in Egitto, la delegazion­e di Hamas è tornata a Doha, dove Al Jazeera ha detto che è arrivato anche il direttore della Cia, William Burns. Alla stessa emittente, Mohamed Nazzal, membro dell’ufficio politico di Hamas, ha detto che “il fallimento dei negoziati al Cairo non significa necessaria­mente la fine delle trattative”. Ma sembra comunque difficile credere che si raggiunga un’intesa nei prossimi giorni. Soprattutt­o se l’organizzaz­ione palestines­e ribadisce di volere un cessate il fuoco definitivo e il ritiro completo delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza. La guerra quindi continua, in attesa di capire il destino della città di Rafah, su cui si attende l’offensiva terrestre delle Israel defense forces. E mentre si cerca di capire come liberare il maggior numero di ostaggi, le Nazioni Unite si muovono sul fronte delle violenze sessuali compiute nell’attacco del 7 ottobre. Francia, Regno Unito e Usa hanno chiesto una riunione del Consiglio di Sicurezza per parlare dei crimini sessuali compiuti da Hamas durante l’assalto al sud di Israele. La discussion­e potrebbe esserci lunedì.

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 ?? ?? Zelensky incontra Erdogan a Istanbul. Allerta Usa: “Rischio attentati nelle prossime 48 ore”
Zelensky incontra Erdogan a Istanbul. Allerta Usa: “Rischio attentati nelle prossime 48 ore”
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Striscia di Gaza, aiuti umanitari paracaduta­ti dal cielo

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