L’arte del doppio standard morale
Così la libertà di espressione viene difesa solo quando la parola è nella bocca del consimile
‘Datemi due righe scritte dal miglior gentiluomo di Francia’ scriveva Richelieu ‘e troverò di che farlo impiccare’. La solerzia analitica nel compilare dossier, nell’accumulare frasi potenzialmente a effetto o deteriori, spesso magari debitamente decontestualizzate, da usarsi contro l’avversario politico reclamandone l’espulsione dal consesso del dibattito pubblico è una arte assai praticata da una certa estrema, e magari a volte pure meno estrema, sinistra ormai a braccetto con i guerriglieri urbani della giustizia sociale e dell’anticolonialismo selettivo. Ed è così che il panopticon sorvegliante del progressismo militante scrutina, scruta, passa in rassegna qualunque bacheca social, qualunque scritto, qualunque battuta di personaggi sgraditi; dal capitalismo della sorveglianza, descritto dalla Zuboff, siamo passati al wokeism della sorveglianza.
Il centro nevralgico e sostanziale di questo approccio militante non può che essere, ovviamente, la costruzione di un granitico doppio standard morale. Da un lato si sarà alfieri intransigenti della delazione, della segnalazione, della richiesta di punizione, del procedimento disciplinare, della sanzione, di legge censoria e punitiva magari da impiantarsi ex novo nel nostro già bulimico ordinamento, e tutto questo per espressioni, opinioni, libri sgraditi, magari semplici motti di spirito.
Non per censurare violenza o aggressioni o veri discorsi di odio, ma per impedire ad altri di parlare. Salvo poi, quando nella rete della pubblica indignazione finisce qualche esponente del proprio stesso pensiero, ergersi a paladini candidi e araldici della libertà di espressione più assoluta.
Solo in forza di questo assunto a doppio standard, colorato in fucsia ma comunque originante da una profonda radice totalitaria posto che proprio la ridefinizione dei canoni morali fu al centro dell’avanzante rivoluzione bolscevica e dei suoi maggiori esponenti, da Lenin a Trotsky, si può comprendere come sia possibile far convivere la difesa marmorea della infelice frase della professoressa Donatella Di Cesare sulla Balzerani con i cortei e la gazzarra contro Papa Benedetto XVI, contro Daniele Capezzone, contro un senato accademico quando magari lo stesso si sia arrischiato ad esprimere solidarietà ad Israele dopo la carneficina del 7 ottobre 2023, e ben prima dell’assedio di Gaza. La libertà di espressione viene difesa solo quando la parola è nella bocca del consimile. In tutti gli altri casi, l’imperativo quasi di ordine morale di collettivi e jihadisti rossi è quello di silenziare, negare spazi e agibilità. Spesso ricorrendo alle solite accuse di fascismo, che verosimilmente avvolgono chiunque sia sgradito, magari pure se militante a sinistra ma situato fuori dal recinto tribale dei dogmi che tanto piacciono ai collettivi.
La stella rossa che orna il volantino, così tanto esteticamente anni Settanta e trasudante aroma di ciclostile e fumose cantine, con il quale a Filosofia de La Sapienza i collettivi, i collettivi, non ‘gli studenti’, hanno reclamato piena e totale libertà di espressione, laddove la stessa si dovrebbe estrinsecare nel tratteggiare nostalgia dei tempi rivoluzionari che furono, è la stessa stella rossa portata in liturgica processione quando si è chiesto l’allontanamento di questo o quel personaggio sgradito.
Ma davvero qualcuno vorrebbe farsi impartire lezioni di etica della libera espressione da gente che boicotta negozi, impedisce a scrittori, intellettuali, giornalisti, uomini religiosi di poter parlare, che va a presidiare le vetrine di una libreria ‘colpevolissima’ di ospitare un ‘evento sionista’ che poi altro non era se non la presentazione del libro ‘Golda’, biografia di Golda Meir scritta da Elisabetta Fiorito e pubblicata da Giuntina?
È una china pericolosa, quella verso cui conduce l’accettazione del farsi dettare l’agenda, comunicativa, espressiva e politica, da gente che disprezza dal profondo la vera libertà di espressione.” La libertà d’espressione è necessaria” ha notato Robert Dahl “i cittadini silenziosi sono dei perfetti sudditi di un governo autoritario”. Il fine ultimo di chi vuole silenziare le opinioni sgradite, appunto