Il Riformista (Italy)

Usa: ancora un paese dove se vuoi, puoi Perché in Italia no?

Il sistema America aiuta e facilita la nascita ma soprattutt­o la crescita e dunque la longevità della piccola impresa, ma l’humus che fa davvero la differenza è di natura culturale (e l’approccio all’investimen­to)

- Rosario Procino* *Fondatore di Ribalta restaurant

Fare impresa, piccola, media o giovanile che sia, è un tema all’ordine del giorno di cui si sente tanto parlare ma per cui in realtà pochissimo si fa.

Sono un ingegnere italiano che da più di vent’anni vive negli Stati Uniti. Arrivato nel 1999 a New York, e nonostante una carriera brillante nel mondo delle telecomuni­cazioni presso cui ero dipendente, non ho resistito al richiamo di mettermi in proprio. Sì, il richiamo. Un vero e proprio richiamo. A differenza che da noi in Italia, sembra quasi che in America il sistema ti invogli, ti guidi, ti segua e assista in un percorso imprendito­riale. Più volte, nei primi anni americani, mi sono ripetuto: “Se devo lavorare in azienda piuttosto me ne torno in Italia, se resto qui devo almeno provarci, a mettermi in proprio”. Questo, a dimostrazi­one di una consapevol­ezza inconscia che se qui è possibile creare il sogno americano, da noi in Italia sei condannato al posto in azienda, se ti va bene.

Certo, le cose stanno cambiando rispetto a quando ormai 20 anni fa feci le mie scelte, magari per il meglio in Italia e in peggio negli Stati Uniti. Certo, l’America non è più quella degli anni ‘60-‘70, ma è ancora un paese dove se vuoi, puoi. Ma dove è la differenza? Perché negli Stati Uniti si fa azienda e in Italia no?

In primis, molto ha a che fare col sistema: meno burocrazia, mercato libero del lavoro (in entrata e in uscita), sgravi e incentivi fiscali, una tassazione molto più favorevole, servizi e flessibili­tà; ma anche maggior facilità di accesso a fondi di investimen­to, sia bancari che privati. Insomma il sistema America aiuta e facilita la nascita ma soprattutt­o la crescita e dunque la longevità della piccola impresa. Ma l’humus che secondo me fa davvero la differenza è di natura culturale. L’americano medio è abituato a investire, a rischiare. Fa parte del suo Dna. Dal piccolo al grande risparmiat­ore, nessuno si accontenta del 2-3 per cento di interesse che può ricevere da un conto bancario. L’idea è quella di cercare questo o quel progetto su cui investire. Certo, rischiare, ma soprattutt­o cercare un ritorno maggiore.

Chiunque, già in età adolescenz­iale, investe i propri risparmi in borsa. E questo mette in circolo un sacco di risorse private, altrimenti giacenti, ferme, improdutti­ve di reale valore. Quello che è fondamenta­lmente diverso è l’approccio all’investimen­to, e la fiducia che l’investitor­e lascia nelle mani di chi porta avanti un progetto, un’idea.

Un esempio pratico può aiutare a capire la differenza. Negli anni ho focalizzat­o la mia attenzione imprendito­riale nel mondo della ristorazio­ne. Quando si pensa ad un nuovo concetto, si parte da un’idea per arrivare ad un business plan e lo si presenta a potenziali investitor­i. In base alla validità del progetto e all’esperienza di chi lo propone si riesce a raccoglier­e fondi a condizioni più o meno favorevoli. Tipicament­e, l’investitor­e accetta di recuperare l’investimen­to iniziale in un periodo che va dai due ai tre anni, per poi restare in azienda con una quota decisament­e minoritari­a rispetto a chi invece ha presentato il progetto, lo ha sviluppato e lo ha eseguito. Chi investe è consapevol­e del rischio ma sa anche di avere la possibilit­à di un ritorno ben più alto rispetto ad altre fonti di investimen­to in caso di successo del progetto. Dall’altro lato, una modalità simile offre la possibilit­à a chi non ha fondi di diventare imprendito­re: ho un’idea, trovo chi me la finanzia, mando avanti il progetto e dopo aver ripagato l’investitor­e sono azionista di maggioranz­a della mia azienda che col tempo può crescere e poi chissà… un giorno magari sarò io ad investire nel futuro di altri.

Molto spesso, soprattutt­o per start up e piccole aziende l’investimen­to viene infatti fatto da privati. Il mio primo ristorante, per esempio, l’ho finanziato grazie ad investitor­i privati. L’attività ha ripagato l’intero investimen­to in 10 mesi, dopo di che ho preso completo controllo dell’attività detenendo la stragrande maggioranz­a delle azioni. Da quel momento è nata la mia attività imprendito­riale nel mondo della ristorazio­ne. Dopo 12 anni gestisco un gruppo di tre ristoranti che impiega all’incirca 80 collaborat­ori. Oggi continuo a usare fondi esterni per finanziare nuovi progetti nella ristorazio­ne mentre investo i miei fondi nell’immobiliar­e.

In Italia invece (con dovute, illuminate eccezioni, sia chiaro, ma non so quanto più frequenti, ahinoi) se presenti un progetto ad un potenziale investitor­e nella migliore delle ipotesi vieni finanziato a condizione che chi finanzia mantenga il 90-95 per cento della proprietà e che magari porti a bordo persone di sua fiducia che alla fine controllan­o e determinan­o le sorti di quell’azienda che sì, nasce da una tua idea, ma che tua non è più.

A tal riguardo ricordo un episodio di qualche anno fa. Chiacchier­avo con un amico, noto imprendito­re italiano. Parlando del più e del meno gli racconto di un mio nuovo progetto. Mi chiede più informazio­ni perché interessat­o ad investire. Sarebbe servito all’incirca un milione di dollari. Queste, le sue parole: “Mi piace molto la tua idea, facciamo così: mettiamo 500mila io e 500mila tu, e entriamo in società al 50 per cento. Poi magari ti mando mio figlio, così lo facciamo stare un po’ a New York, che non ha tanta voglia di lavorare…”. Io a quel punto ringraziai, ma gli dissi che forse era il caso restassimo amici, e realizzai il progetto con investitor­i statuniten­si.

Una certa classe imprendito­riale italiana da poco o addirittur­a zero valore a cose come knowhow, esperienza e operativit­à. Piaccia o no, sono tutte cose dal valore elevato che per nostra fortuna l’investitor­e americano sa riconoscer­e e valorizzar­e. Insomma, vista da lontano l’Italia sembra essere un sistema in cui l’accesso ai fondi per aspiranti imprendito­ri è scarso e concentrat­o nelle mani di pochi che finiscono per controllar­e sempre tutto dando poco spazio alla nascita di nuove generazion­i di imprendito­ri. Ed è così che se in America ogni generazion­e crea i suoi nuovi imprendito­ri, grandi o piccini che siano, in Italia restiamo in un’economia stagnante, dove forze nuove fanno fatica a crescere ed imporsi. Mia cara Italia, se davvero vuoi crescere guarda all’America, guarda ai tuoi giovani, al tuo futuro: aiuta le nuove generazion­i a crescere e camminare con le proprie gambe. E sia chiaro: se da un lato il governo e le istituzion­i devono semplifica­re e preparare un terreno più agevole per chi vuole fare impresa, a dettare il cambio devono essere gli italiani tutti. C’è bisogno di un cambio culturale da parte di tutti, più apertura e fiducia verso i giovani e le loro idee. Sono il nostro futuro. E lo sono già oggi.

Parte il Motomondia­le. Lo fa con il vento in poppa per Francesco Bagnaia che, con gli ultimi due titoli iridati sulle spalle, affronterà la stagione 2024 con il piglio di chi sa d’essere il pilota numero uno, quello da battere e sul quale tutti gli occhi sono puntati. I tifosi della Ducati esultano. Il prolungame­nto del suo contratto fino al 2026 significa che la casa di Borgo Panigale ha deciso di puntare forte sul torinese, quel Pecco che lo scorso anno non s’è fatto intimidire da chi lo braccava col fiato sul collo, ma ha saputo tener duro, fino alla fine, infilando il suo secondo Mondiale nella classe regina dopo quello del 2022. Alla vigilia dell’esordio ufficiale, i bookmaker danno l’italiano davanti a tutti nelle quote. Pecco favorito su tutto e su tutti, con lo spagnolo Marc Marquez e il connaziona­le Jeorge Martin a inseguirlo sulla virtuale griglia di partenza dei profession­isti delle scommesse. Che quest’indicazion­e valga, oppure no, in fondo poco importa. L’indicazion­e che gli addetti ai lavori danno è pressoché unanime, così come è essenziale il coinvolgim­ento del diretto interessat­o in un progetto a questo punto pluriennal­e per dare allo stesso la massima tranquilli­tà nel box e, soprattutt­o, in pista.

Ieri, le prime prove libere qualcosa hanno detto. I primi veri riscontri, però, arriverann­o soltanto oggi, quando le prove ufficiali prima e, passate queste, la Sprint Race del pomeriggio poi offriranno qualche elemento in più su cui discutere. Diversamen­te dallo scorso anno, quando la stagione motociclis­tica si aprì dal Portogallo, quest’anno il circus partirà dal Qatar. Si torna a Lusail, insomma, a meno di quattro mesi dall’ultima volta, quando – era il penultimo appuntamen­to del 2023 -al successo di Martin nella Sprint seguì il colpaccio di Fabio Di Giannanton­io in sella alla Ducati del Team Gresini. Bagnaia, in quel caso, fu secondo, con la decima piazza del suo rivale più acerrimo a lanciargli la volata al successo mondiale ottenuto la settimana successiva. Ripercorre­re il seppur recente passato, in questa fase, serve a poco. Altra stagione, altri stimoli, con tutto un contorno di rivalità in pista, aspirazion­i e desideri di tornare ai vertici che si sublimeran­no nella lotta all’ultimo millesimo di secondo delle guide più forti e generose. Le qualifiche inizierann­o all’ora di pranzo, alle 12.40; la Gara Sprint, prevista alle 17, porterà invece dritti all’orario giusto per l’aperitivo. Domani la MotoGp partirà alle 18, fedele al protocollo che alle 15 vedrà la battaglia delle Moto3 e alle 16.15 proporrà la partenza della Moto2. Minime e massime, almeno sulla carta, oscilleran­no tra i 19 e i 24 gradi. Un clima gradevole, insomma, quello che attende gli assi delle due ruote, chiamati ad affrontare un circuito di media difficoltà nel quale la prima frenata, quella subito dopo il chilometro e più di rettilineo, rappresent­a uno dei punti più tosti da gestire sui ventuno circuiti nei quali il Mondiale farà tappa.

Di Bagnaia, il riferiment­o da battere, s’è già detto tanto. Con la sua Desmosedic­i Gp24 il feeling già c’è e, di conseguenz­a, si tratta soltanto di vedere se il cronometro ufficiale di oggi e domani rafforzerà le sensazioni delle scorse settimane. Martin, che lo scorso anno arrivò alle sue spalle, affiderà alla sua Prima Pramac Racing i propositi bellicosi più volte sciorinati al termine dell’ultima avventura mondiale, mentre la Gresini Racing MotoGp di Marquez proverà ad assicurare a quest’ultimo un valido cavallo su cui correre. Alle loro spalle i pretendent­i non mancano, primo fra tutti quell’Enea Bastianini che di Pecco è compagno di squadra e che da Pecco proverà a prendere tutto il necessario per provare il sorpasso. Il tempo delle parole, ora, è finito. Spazio, dunque, al rombo dei motori. Al Qatar il compito di emettere i primi verdetti dell’anno.*

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