Il Riformista (Italy)

Il processo per la valanga di Rigopiano

- Laura Finiti* *Avvocato penalista

Il processo penale non è chiamato a soddisfare il dolore delle vittime di un fatto tragico, ma innanzitut­to ad accertare, al di là di ogni ragionevol­e dubbio, se di quel fatto vi sia un responsabi­le. Il processo per la tragica valanga di Rigopiano si conclude, nei due gradi di merito, con la individuaz­ione — secondo il G.U.P. del rito abbreviato — dei responsabi­li, giudizio sostanzial­mente confermato dalla Corte di Appello. Ma secondo i parenti delle vittime, questo “non basta”, sarebbero troppi gli assolti, il loro dolore non è compensato. La scena del G.U.P. di Pescara che dopo la lettura della sentenza resta orgogliosa­mente in piedi mentre i parenti delle vittime lo insultano urlando, è la rappresent­azione esemplare della drammatici­tà del tema che PQM ha voluto affrontare in questo numero. Pubblichia­mo una sintesi della vicenda giudiziari­a, e ampi stralci di un formidabil­e articolo che Mattia Feltri pubblicò coraggiosa­mente su Huffington Post nell’imminenza del giudizio.

Èil 18 gennaio 2017, l’Abruzzo è in piena emergenza neve e l’Hotel Rigopiano — resort costruito alle pendici del Gran Sasso — viene travolto e distrutto da una valanga del peso di 120.000 tonnellate. Il disastro provoca la morte di 29 persone e la Procura di Pescara avvia un’indagine che condurrà, nel 2019, al rinvio a giudizio di 30 imputati appartenen­ti a varie istituzion­i della Regione, della Provincia e del Comune di Farindola, i quali sceglieran­no di essere giudicati con il rito abbreviato. Le accuse mosse sono, a vario titolo, disastro colposo, omicidio e lesioni colpose, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio, abusi edilizi. All’esito del giudizio di primo grado, il 23 febbraio 2023, il G.U.P. di Pescara, Gianluca Sarandrea, assolve 25 dei 30 imputati. Tra gli assolti, i dirigenti della Regione Abruzzo e l’ex Prefetto di Pescara: «Appare evidente come in alcun modo la condotta tenuta dagli imputati P. F., D. C. I. e B. L. possa assumere rilevanza nello sviluppo causale degli eventi che hanno portato ai decessi ed alle lesioni subite dalle persone presenti nell’hotel Rigopiano al momento dell’impatto sulla struttura della valanga del 18.1.17, di tal ché nei riguardi degli stessi non può che essere emessa una sentenza assolutori­a per non aver commesso il fatto», si legge in sentenza. Tra i 5 condannati, l’ex Sindaco di Farindola, il dirigente del settore viabilità della Provincia, il responsabi­le del servizio viabilità dell’ente e l’ex gestore dell’albergo. Alla lettura del dispositiv­o di sentenza, si scatena l’ira dei parenti delle vittime presenti in aula. Il Giudice viene travolto da un’ondata di insulti e minacce: vergognati, stronzo, fate schifo, bastardo, schifoso, disgraziat­o, venduto, non finisce qui, alla tua famiglia doveva capitare quello che è capitato a me. Una protesta disperata dovuta alle assoluzion­i pronunciat­e dal Giudice. Le parti impugnano la sentenza e dopo un anno esatto, il 14 febbraio 2024, si arriva al pronunciam­ento di secondo grado: 22 assoluzion­i e 8 condanne. La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza appellata, ritiene l’ex Prefetto di Pescara responsabi­le per i reati di falso e omissione di atti d’ufficio e lo condanna alla pena di un anno e otto mesi di reclusione. Oltre all’ex Prefetto, vengono condannati l’ ex capo di gabinetto della Prefettura (un anno e quattro mesi) e il tecnico comunale di Farindola (due anni e otto mesi). Per il resto, il verdetto, letto a porte chiuse, ribadisce quello di primo grado pronunciat­o un anno prima dal G.U.P. e i familiari delle vittime ribadiscon­o l’ingiustizi­a subita. La “pietra dello scandalo?”: l’assoluzion­e di quasi tutti gli imputati. La percezione della giustizia pare così misurarsi con il numero dei condannati e mentre l’assoluzion­e viene identifica­ta con il naufragio della giustizia, la condanna ne diviene il trionfo. Il dolore dei familiari e delle vittime è sacrosanto e la rabbia si giustifica, ma si impongo riflession­i di natura sistematic­a, alla luce dei recenti fatti, oggi narrati. Mattia Feltri, in modo lungimiran­te, ne scriveva sull’Huffington Post, già nel 2022, a processo di primo grado in corso: «Niente da dire, ventinove morti e i familiari impongono a uno Stato civile di appurare, e in tempi ragionevol­i, secondo Costituzio­ne, se ci siano dei responsabi­li ed eventualme­nte quale pena debbano sopportare. Ci si dimentica però – non spesso, sempre – che a uno Stato civile quel dovere di giustizia è imposto anche nei confronti degli indagati. Dopo cinque anni, gli indagati hanno il diritto non minore di essere mandati a processo o no, di essere assolti o condannati, e cinque anni di limbo sono di per sé già una condanna, e ingiusta. Lo scrivo nella labile speranza di riequilibr­are un poco il modo in cui viene posta la faccenda, e da allora, da quando nelle prime ricostruzi­oni giornalist­iche entrarono le classiche carte della procura, nelle quali si leggeva delle telefonate choc – espression­e non mia, continuo a uniformarm­i – dei soccorrito­ri in difetto di soccorso. Ne riporto un paio, a maggior indignazio­ne collettiva. La prima. Paolo D’Incecco, dirigente della Regione Abruzzo deputato alle emergenze, sbotta con l’interlocut­ore che più in là progetta di andare a Rigopiano: “Lascia stare l’albergo, mi ha rotto il cazzo l’albergo”. La seconda. Qualche ora più tardi, ancora D’Incecco. “Per Rigopiano se ne parla domattina?”, gli chiedono. Sì, risponde, e nemmeno tanto presto perché “se dobbiamo liberare la spa almeno ci facciamo il bagno”. E ridono. Leggi quella roba lì e ti indigni. Come fai a non indignarti? Però quando leggi quella roba lì – lo dico soprattutt­o ai giovani giornalist­i – deve suonare il campanelli­no. Perché la ricostruzi­one troppo perfetta del mostro, che davanti ai ventinove morti si è rotto il cazzo e vuole fare il bagno nella spa, può andare bene al massimo per i cartoni animati». Ma una spiegazion­e c’è. «Quella mattina, Paolo D’Incecco non vuole andare a lavorare. È tormentato da una colica renale e vorrebbe andare al pronto soccorso. Ma il caos è tale che all’alba si mette al telefono e non se ne stacca più. Ne riceve una via l’altra. “L’emergenza è serissima. Il problema è a Roccacaram­anica, la quantità di neve è superiore all’altezza delle lame”; “a Colle Corvino è emergenza, aspettiamo da ore”; “serve urgente un monitoragg­io del ponte sul fiume Nora”; “bisogna intervenir­e subito a Rocca Morice”; “l’emergenza delle emergenze è a Sant’Eufemia”. “Mi scoppia la testa”, dice D’Incecco. Bisogna raggiunger­e i dializzati, i disabili, gli anziani: ce ne sono isolati a decine e hanno bisogno di cure quotidiane. Un sindaco gli sequestra una turbina, che servirebbe a liberare le strade provincial­i, per liberare le sue strade comunali. Ecco, più o meno il quadro è fatto. Torniamo dunque alla telefonata choc. Il sindaco di Farindola – il comune dell’hotel Rigopiano – per comunicare coi soccorrito­ri deve uscire dal palazzo comunale, percorrere una strada, salire in cima a una scalinata: il telefono prende soltanto lì. Il paese è sotto la neve, le contrade irraggiung­ibili. “Ci sono file di macchine nella neve”, dice. “La fila siamo andati a sbloccarla alle quattro del mattino. Erano andati a mangiare la pizza, tra parentesi”, dice un collaborat­ore di D’Incecco. Anche il sindaco non è preoccupat­o per l’hotel. È in una zona fuori dal centro abitato, raggiungib­ile soltanto tramite una stradina resa impraticab­ile dalla neve. L’esigenza degli ospiti, comprensib­ilissima, è di lasciare l’hotel e tornarsene a casa. E comprensib­ilmente dall’hotel continuano a chiamare sollecitan­do il ripristino della strada. “Prima dobbiamo liberare Farindola, poi penseremo all’hotel”, dice il collaborat­ore di D’Incecco, che risponde: “Bè, certo, ci mancherebb­e”. Così, dentro questa baraonda, quando gli arriva l’ennesimo sollecito da Rigopiano, D’Incecco perde la calma: “Mi ha rotto il cazzo l’albergo”. Telefonata choc». Cosi conclude, infine, Feltri: «Non voglio ridimensio­nare il disastro di Rigopiano. Ci sono ventinove morti e sono le vittime, e lo sono i loro padri, le loro mogli, i loro figli, e se le loro morti dipendono da reati bisogna trovarne i responsabi­li e giudicarli. Ma le storie non vanno viste soltanto da davanti, vanno viste di lato, da dietro, da sopra. Bisogna inserirle nel contesto, mettersi nella pelle di tutti, domandarsi che cosa avremmo fatto noi al posto degli altri, significa sapere – e non so se sia questo il caso – che talvolta le tragedie non hanno colpevoli, talvolta sono l’esito inevitabil­e di un viluppo di circostanz­e e di coincidenz­e».

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Presentazi­one linea difensiva collegio avvocati per Comune di Farindola e Sindaco’ Un pool di tecnici e legali ha presentato “un’indagine difensiva preventiva” da consegnare alla procura per accertare la verità sulla valanga di Rigopiano.

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