Il Riformista (Italy)

«Separazion­e delle carriere e Csm, il governo fa sul serio»

«Nessun rinvio, ma solo la volontà di dare un contributo al Parlamento: la terzietà del giudice è un precetto della Carta e una bandiera di Forza Italia Tra Meloni e Nordio non c’è da ricomporre niente, siamo una squadra»

- Alessandro Barbano È d’accordo nell’istituire il voto segreto sulle delibere che riguardano le nomine dei magistrati nelle posizioni apicali?

Pagelle dei magistrati e test attitudina­lli il Parlamento li vuole ne terremo conto Dico sì alle correnti ma no alle cordate

Noi lo faremmo nel miglior modo possibile e rispettand­o i percorsi parlamenta­ri. Nessuna cripticità».

Ha letto l’intervista del procurator­e generale della Cassazione, Margherita Cassano al Foglio? Se c’è un punto in cui contravvie­ne al proposito di astenersi dal dibattito politico, è proprio quando dice che la separazion­e delle carriere è un falso problema, perché riguardere­bbe solo il due per cento dei magistrati che passano da una funzione all’altra. Ignorando cioè che la questione è tutt’altra e riguarda la contiguità tra inquirente e giudicante, cioè tra parte e giudice terzo. Non teme che in Parlamento e nel Paese non esista una maggioranz­a per sfidare la resistenza corporativ­a della magistratu­ra associata?

«Rispetto tutte le opinioni e in particolar­e quella della presidente Cassano, che sta costanteme­nte sul pezzo e non si risparmia nel tentativo di dare efficienza al sistema. Ma il problema non sono i magistrati che passano dalla procura alla giudicante, il problema sono gli equilibri all’interno del processo e la percezione che ne ha il cittadino. Se vogliamo dirla con una metafora calcistica, non è possibile che l’arbitro appartenga alla stessa città di una delle due squadre in campo. Lo comprende chiunque. La terzietà deve essere garantita dall’ordinament­o giudiziari­o. Quanto invece all’imparziali­tà, afferisce invece alla sfera del singolo giudice. In questa stereofoni­a tra certezza dell’ordinament­o di terzietà e posizione soggettiva del giudice che deve essere imparziale c’è il disegno dell’articolo 111 della Costituzio­ne». In che modo sarà realizzata la separazion­e? Con un Csm autonomo e un controllo parlamenta­re, o con l’inseriment­o del pm sotto l’egida del ministero della giustizia? «Respingo al mittente come palla spaziale ogni ipotesi di sottomissi­one del pubblico ministero all’esecutivo, tant’è che l’articolo 104 della Carta non viene toccato dalla riforma e i magistrati rimangono autonomi e indipenden­ti. Senza nessuna possibilit­à di ipotetica deriva. Questo fantasma della sottomissi­one è solo un espediente dialettico, che lascia il tempo che trova. Per quanto riguarda le modalità, ci sono quattro proposte, se ne aggiungerà una governativ­a e poi sarà il Parlamento a scegliere. Ci sono state audizioni importanti, è giusto raccoglier­e tutti i pareri possibili. Poi però l’ultima parola spetta alle Camere. L’articolo 101 della Costituzio­ne dice che i giudici sono soggetti solo alla legge. Vuol dire che il Parlamento non deve ingerirsi nella giurisdizi­one, ma anche che il giudice non deve ingerire nei percorsi parlamenta­ri. Questa è la divisione dei poteri. Il Parlamento non giudichi e i giudici non legiferino».

Il vertice a Palazzo Chigi tra Meloni e Nordio è servito a ricomporre una frattura, dopo la sortita del ministro che aveva proposto una commission­e parlamenta­re d’inchiesta sui dossier abusivi e il governo che l’ha smentito, affidando la questione all’Antimafia. Ha prevalso una logica difensiva, preoccupat­a di far decantare o deflagrare l’incendio dov’è scoppiato. Ma una vicenda di inaudita gravità non meritava

di più?

«L’incontro tra premier e ministro non ha riguardato il tema del dossieragg­io, ma una messa a fuoco dei temi delle riforme costituzio­nali. Né mi è sembrato che servisse per ricomporre alcunché. È stato un incontro pacato, in cui ciascuno ha avuto modo di esprimere le sue opinioni e poi con molta sinergia si è optato per rispettare i percorsi parlamenta­ri e dare un contributo da parte del governo».

Ma l’Antimafia è una ridotta parlamenta­re di cui fa parte, non a caso, l’ex capo della Procura nazionale al centro e al tempo dello scandalo. «Il fenomeno del dossieragg­io è gravissimo, perché è accaduto in un luogo che dovrebbe essere il luogo del contrasto più serrato rispetto alle forme più gravi di criminalit­à. Cioè nel tempio della sicurezza nazionale. Però le terapie possono essere diverse. C’è una terapia delle indagini, un’altra appartiene alla Commission­e Antimafia. In prima linea è naturale che tocchi a loro. Poi nulla esclude che domani non si possano immaginare altre forme di intervento».

Quindi ha torto Crosetto, quando dice di temere il rischio che non si arrivi a nulla?

«Capisco le preoccupaz­ioni di Crosetto, ma sono convinto che l’inchiesta in corso sarà capace di andare fino in fondo, è quello che vogliamo tutti».

Ma lei che idea si è fatto dello scandalo? C’è un grande vecchio, c’è un mercato delle notizie rubate, come azzardano Melillo e Cantone? Oppure le deviazioni sono frutto di una polizia giudiziari­a fuori controllo, che si è trasformat­a in un servizio segreto a la page?

«Io sono un penalista e sono abituato a giudicare le vicende giudiziari­e sugli atti. Mantengo quella naturale prudenza quando quegli atti non conosco».

Ma si è chiesto almeno perché la maggior parte degli spiati appartiene al campo politico e culturale del centrodest­ra?

«Prendo atto, da quello che si legge, che una larghissim­a percentual­e di dossierati appartiene al centrodest­ra. Il dato è estremamen­te preoccupan­te, perché potrebbe dare l’idea di un disegno di tipo politico. Le indagini in corso dovranno dirci se è vero». Però l’Antimafia è diventato un totem nella nostra democrazia, da cui la politica gira al largo per paura di scottarsi. Accade che la Cedu metta un faro sul sistema di prevenzion­e, che consente la confisca di patrimoni e aziende anche ai cittadini assolti, in base a un rovesciame­nto della colpevolez­za in pericolosi­tà. Anziché difendere un sistema feroce e illiberale, come sta facendo il governo, non sarebbe meglio prendere atto della sua contrariet­à ai principi del diritto liberale e modificarn­e almeno gli eccessi?

«La confisca senza colpevolez­za è un tema che merita approfondi­mento. Non si può negare però che le confische siano state un efficaciss­imo strumento di lotta alla criminalit­à. Vi sono in Parlamento anche numerose proposte, anche di Forza Italia, per modificare alcuni meccanismi invasivi e provare a mitigarne gli effetti». Tuttavia il ministero garantista, rappresent­ato da due profili nobili come Nordio e Sisto, fin qui ha messo la firma solo su provvedime­nti che inasprivan­o pene, introducev­ano nuovi reati, e allargavan­o il perimetro di applicazio­ne della legislazio­ne speciale antimafia. Mentre l’unico provvedime­nto riformator­e varato galleggia in Parlamento tra veti e pareri contrari. Non è un bilancio magro a un terzo di legislatur­a?

«La sua domanda è suggestiva perché contiene dati non proprio rispondent­i al vero. Innanzitut­to perché al ministero siamo una squadra, di cui fanno parte anche con i colleghi Delmastro e Ostellari. E facciamo squadra. E poi perché non è vero che il numero dei reati inseriti nel sistema sia esuberante rispetto alle regole ispirate alla tutela del cittadino. Anzi, il nostro primo obiettivo è uscire da una postura inquisitor­ia e pensare alla protezione del cittadino. Il cosiddetto Nordio uno - che prevede l’abolizione dell’abuso ufficio, la tipizzazio­ne del traffico di influenze, i limiti alla pubblicazi­one delle intercetta­zioni, i limiti all’informazio­ne di garanzia, le misure cautelari collegiali e l’obbligo di interrogat­orio e, da ultimo i limiti all’appello da parte pubblico ministero delle sentenze di assoluzion­e - non galleggia affatto. Ieri lo abbiamo incardinat­o in commission­e giustizia alla Camera e presto sarà legge. Quanto al resto, abbiamo introdotto il divieto di intercetta­re i colloqui tra indagati e difensore. E il divieto di riportare nei verbali le generalità dei terzi estranei. Abbiamo rafforzato l’obbligo di motivazion­e per l’uso del Troyan. Perché questo è un governo che ha a cuore il cittadino. Sì, ci sono stati anche interventi di risposta all’emergenza che si possono discutere, però le riforme le stiamo scrivendo per i cittadini. E su questo si vede tutto l’amore che Forza Italia ha per la Costituzio­ne, e che il nostro segretario Antonio Tajani ha testimonia­to più volte. Non a caso il prossimo provvedime­nto riguarda il sequestro dei telefoni cellulari: il pm dovrà chiederlo al giudice e dovrà distinguer­e i documenti e i file dai messaggi privati, per i quali occorrerà una ulteriore specifica richiesta ai sensi della disciplina delle intercetta­zioni». La pagella dei magistrati, introdotta dalla Cartabia, è stata svuotata, passando da una rigorosa valutazion­e di performanc­e a controlli a campione.

Non è un cedimento alle pressioni della magistratu­ra

associata che dal Csm tuona contro qualunque logica meritocrat­ica?

«Il decreto non c’è ancora, le commission­i hanno dato dei pareri, noi lui valuteremo rispettand­o la volontà del Parlamento. Che vuole i test attitudina­li e chiede di prendere in esame tutti i provvedime­nti e non solo quelli a campione. Di questo si terrà conto».

Ma in che modo intendete riformare il Csm e sottrarlo all’egemonia delle correnti?

«C’è in commission­e al Senato la proposta di legge Zanettin sul sorteggio temperato nei criteri di elezione del Csm. È un provvedime­nto che è oggetto di attenzione, da qui si parte. Personalme­nte sono favorevole alle correnti quando non diventano cordate». «Il problema è complesso, deciderà il Parlamento. Ma è certamente utile riflettere su tutti i meccanismi che possano garantire alla magistratu­ra autonomia e indipenden­za». L’emergenza carceri ha superato il livello di guardia di un Paese civile, con 62 mila detenuti e 24 suicidi dall’inizio dell’anno. Si può continuare a rispondere con i progetti di un’improbabil­e edilizia carceraria e non disporre misure di decongesti­onamento immediato? «Abbiamo fatto indagini specifiche nei luoghi dove sono accaduti i suicidi, abbiamo completato gli organici di supporto psicologic­o, stiamo assumendo oltre duemila agenti di polizia penitenzia­ria e stiamo cercando essere maggiormen­te attenti all’umanizzazi­one dei luoghi di detenzione».

È possibile farlo se si sta in dodici in una cella?

«C’è una sentenza, la cosiddetta Torreggian­i, che impone determinat­i standard. Quello che posso dire è che il ministro Nordio è molto attento a questi temi e il nostro dipartimen­to è molto sollecitat­o affinché questi fenomeni siano scongiurat­i».

L’indulto?

«Non è un giudizio che compete al viceminist­ro della giustizia, ma al Parlamento».

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