Il Riformista (Italy)

L’accordo Italia-Albania ha i piedi d’argilla perciò l’Europa lo boccia

La cauzione da 4938 euro che gli immigrati provenient­i da paesi detti ‘sicuri’ dovrebbero pagare per non entrare nei CPR è inapplicab­ile ed è destinata non a risolvere un problema ma ad essere mero messaggio propagandi­stico

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contro le ONG, con l’assegnazio­ne di porti lontani (che produce solo più costi e più morti, senza alcun vantaggio per nessuno), o l’impediment­o di salvataggi multipli. La stessa Ocean Viking era appena ripartita dopo un fermo amministra­tivo di mesi, proprio per questa ragione: che è come se a ciascuno di noi, dopo aver salvato la vittima di un incidente stradale, sulla strada per l’ospedale ci fosse vietato – per legge! – di salvare un altro ferito trovato lungo il percorso. La seconda questione riguarda la singolare proposta, uscita dal cappello di un consiglio dei ministri dell’autunno scorso e mai discussa prima, di inventarsi una cauzione da 4938 euro che gli immigrati provenient­i da paesi detti ‘sicuri’ dovrebbero pagare per non entrare nei CPR. A parte l’inapplicab­ilità e la totale assenza di senso della realtà (si parla di fidejussio­ni, trattandos­i di persone neosbarcat­e che difficilme­nte quella cifra la possiedono, quando anche per un italiano una polizza fidejussor­ia presuppone dichiarazi­one dei redditi, proprietà, un lavoro fisso e banalmente una residenza), anche questa norma, come quelle sulle ONG e molte altre, mostra di essere improntata a un inutile cattivismo, che pare ben più reale del buonismo di cui sono accusate, un giorno sì e l’altro pure, le organizzaz­ioni che queste politiche contrastan­o. È destinata, come del resto l’accordo con l’Albania, non a risolvere un problema, ma solamente a mandare un segnale politico e propagandi­stico all’opinione pubblica: un modo di dire che si sta facendo qualcosa, tamponando o terziarizz­ando il fenomeno, senza nemmeno cominciare ad affrontarl­o davvero. Veniamo, per l’appunto, alla ratio degli accordi siglati. Pensare di gestire le richieste d’asilo rivolte all’Italia dall’Albania è come pensare di risolvere il problema dei ritardi nella sanità aprendo un ospedale a Tirana, portandoci medici, infermieri e pazienti italiani: sarebbe un costo enorme (non solo le centinaia di milioni di euro per attrezzare una base, ma costi di gestione gonfiati oltre tutto anche dalle indennità di trasferta all’estero…), non velocizzer­ebbe le pratiche (se lo facesse non si capisce perché le stesse persone non potrebbero analizzarl­e negli stessi tempi in Italia), creerebbe un sacco di problemi pratici (possiamo immaginare celerità ed efficacia, oltre che rispetto dei diritti, di udienze svolte tramite interprete con giudici e avvocati in videoconfe­renza). Si tratta di un fallimento annunciato, a cui tuttavia la lentezza di risposta della UE rischia di dare un alibi: se non si riesce a farlo in tempo per le elezioni europee (questa era probabilme­nte la vera ragione della decisione: raggiunger­e un elettorato spaventato con un messaggio di furbesca anche se inefficien­te protezione), sarà pur sempre possibile dare colpa all’Europa della mancata attuazione. Non che non si debbano fare accordi con gli altri paesi: al contrario, è la cosa giusta da fare. Ma su altre basi. E, aggiungiam­o, con altri obiettivi: selezionar­e e formare la manodopera in accordo con i bisogni dell’economia, per esempio. Non fare finta che se ne possa fare a meno lanciando segnali generici e anche un po’ obliqui di rifiuto e di esternaliz­zazione. Prendere in mano, insomma, i problemi, nei loro termini reali. Con più spirito pragmatico e meno vocazione ideologica.

Allo scopo di risolverli, non di rilanciare slogan più o meno nazionalis­tici (che peraltro vanno contro l’interesse nazionale).

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