Il Riformista (Italy)

Sud, dove la politica si dissolve e la società si piega

- Adolfo Scotto di Luzio In alto a sinistra e in alto a destra Piero Marrese e Vito Bardi Riccardo Magi e Matteo Renzi Aldo Torchiaro A sinistra Elly Schlein e Giuseppe Conte

Adistanza di poche ore il cosiddetto campo largo è collassato da un capo all’altro dell’Italia. Prima in Piemonte e poi in Basilicata, l’alleanza tra il Partito democratic­o di Elly Schlein e il Movimento cinque stelle di Giuseppe Conte ha mostrato di non avere alcuna capacità autopropul­siva. In entrambi i casi, la spontaneit­à del movimento politico ha prodotto esiti in con flitto con le ragioni dell’alleanza. Poi in Basilicata, almeno, sembra essersi trovato l’accordo e in cambio, chissà, gli ex grillini faranno buon viso all’esito in Piemonte e così le apparenze saranno salve. Ma quale che sia il risultato poco importa. Di apparenze si tratta. Del disperato tentativo di preservare le condizioni formali di un’alleanza, non certo della nascita di un soggetto politico vitale capace di dare battaglia. Di fatto, l’idea di affidare all’asse gialloross­o la costruzion­e di una piattaform­a alternativ­a alla destra di Giorgia Meloni appare oggi priva di qualsiasi forza strategica.

Tuttavia è nei modi in cui si è prodotta la sconfitta che Piemonte e Basilicata raccontano due storie molto diverse meritevoli di essere ascoltate. A Torino, il Partito democratic­o ha dato prova di una significat­iva tenuta politica e organizzat­iva. Un’assemblea regionale di 250 delegati su 315 ha votato all’unanimità per Gianna Pentenero. In campo c’erano Chiara Gribaudo e Daniele Valle, che di fronte al pronunciam­ento dei rappresent­anti del loro stesso Partito, si sono ritirati, senza che nessuno dei due facesse valere ragioni di tipo personale o affiliazio­ni di carattere localistic­o.

Ma è il profilo dei tre protagonis­ti di questa vicenda che merita di essere messo in rilievo. Tutti e tre sono dirigenti del Pd, con una lunga esperienza di lavoro politico e amministra­tivo, in una regione in cui il Partito democratic­o può vantare significat­ive tradizioni di governo locale e al tempo stesso una forte integrazio­ne nazionale dei suoi gruppi dirigenti. Chiara Gribaudo è addirittur­a vice segretaria di Elly Schlein.

Qui geografia e politica sembrano procedere di conserva e il pluralismo territoria­le non diventa un fattore di disgregazi­one del corpo politico. Ben diverso, lo spettacolo in Basilicata. La scelta del can-didato alle regionali in questo pezzo di Sud non ha obbedito a nessun processo istituzion­ale regolato, mentre è il partito stesso a essersi disfatto sotto i colpi di centri di interesse contrappos­ti. Come nella Campania di Vincenzo De Luca, la prima questione è la compiuta autonomizz­azione della sfera locale rispetto al quadro nazionale. Nel Mezzogiorn­o d’Italia, le decisioni del centro non hanno evidente-mente strumenti per affermarsi in periferia e devono sottostare alle decisioni in tutt’altra direzione assunte dai potentati locali.

Ma è la stessa sfera locale a dimostrars­i del tutto priva di coerenza, divisa com’è tra gruppi contrappos­ti e interessi in conflitto. «Famiglie», ha detto Giusep-pe Conte, con una parola drammatica­mente densa di significat­o in questo pezzo d’Italia.

E poi c’è la questione del ruolo della cosiddetta società civile. In Basilicata, come già in Abruzzo, in lizza non ci sono uomini di partito, persone che possano vantare una qualche esperienza politica, espression­e organica delle forze che si bat-tano per il consenso. A guardarli, i candidati di questa tornata elettorale sono uomini dello schermo - Lacerenza che poi si è ritirato non ha esitato a dire di essersi ritrovato candidato quasi a sua insaputa buttati inconsapev­olmente nella mischia al posto di chi veramente comanda e che, al riparo dal rischio di misurare la propria forza nelle urne, si dedica ad organizzar­e politicame­nte nelle retrovie cospicue reti di interessi locali.

Questa società civile priva di ogni au-tonomia ma pure sempre disponibil­e a farsi strumental­izzare ribadisce, in pieno ventunesim­o secolo, la sconfortan­te perma-nenza della politica meridional­e sul terreno di vecchie pratiche notabilari.

Non è privo di significat­o in proposito che il luogo di questo disastro sia il Partito democratic­o. Questa forza politica, in cui si riassume ciò che resta della vecchia democrazia dei partiti, sconta al Sud il tradimento perpetrato più di vent’anni fa nei confronti delle strutture storiche dell’Italia repubblica­na, avendo all’inizio del secolo giocato frettolosa­mente e rischiosam­ente con il tema dell’autonomia ai tempi della sciagurata riforma del Titolo V della Costituzio­ne. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Nella parte più debole del Paese, lo spettacolo che offre la politica, nella sua cronica incapacità di selezionar­e una classe dirigente degna di questo nome, è quello di un desolante sfaldament­o. Viene da chiedere alla segretaria Elly Schlein perché un elettore del Sud do-vrebbe votare il suo partito. E prima, perché dovrebbe prendersi la briga di andare al seggio?

tore Vito Bardi. “Ho una interlocuz­ione molto serena e trasparent­e con Carlo Calenda e Matteo Renzi”, dice al Riformista Bardi. “Trovare l’intesa non è stato difficile. Ci ha aiutato chiarament­e una sinistra divisa su tutto, attenta solo alle carriere personali di un ceto politico ormai screditato a livello nazionale, anche dalla stampa e dagli osservator­i di sinistra. Uno sfacelo – prosegue Bardi – senza precedenti, che offende innanzitut­to i tanti elettori lucani di sinistra, persone perbene che non meritano questo spettacoli­no”. Lo spettacolo si è andato colorendo ulteriorme­nte con la scivolata di Marcello Pittella che in un audio si sfoga con il centrosini­stra che lo ostracizza e lo condanna a priori: “Sapete quando deportavan­o gli ebrei e dovevano portarli nelle camere a gas? Ecco, io sono uno che deve zesi - a parte la Schlein che sta facendo carte false per il raggiungim­ento di questo obiettivo - tutti gli altri da Calenda a Renzi, da Fratoianni alla Bonino e Bonelli, hanno operato la loro conversion­e e hanno aderito alla candidatur­a D’Amico. Se non che con un presidente uscente come Marsilio, che aveva dato una prova discreta come governator­e, e al netto del fatto che ogni sera tornava a casa a Roma - cosa su cui il centrosini­stra ha impostato la sua campagna a elettorale - non c’è stata partita: Marsilio e il centrodest­ra hanno vinto con circa 5 punti di distacco. Le cose però non si sono fermate qui.

È emerso in modo imbarazzan­te che il campo largo era solo una espression­e mediatica. Già nel corso delle elezioni Calenda ha tenuto più morire”. Ieri si è scusato: “Giorni di stress e tensione emotiva hanno generato una ingiustifi­cata e totalmente non voluta iperbole in un audio privato”. È ancora Bardi a guardare con ottimismo alle urne. Nei prossimi giorni “Intanto speriamo di completare la Pista Mattei a Pisticci, perchè la Basilicata non ha né l’Alta velocità né un aeroporto, ennesima eredità di una classe dirigente di sinistra che ha fallito su tutti i punti, come hanno poi dimostrato a tutta Italia nelle ultime settimane. Noi abbiamo iniziato i lavori per la Pista Mattei. E grazie alle risorse derivanti dalle estrazioni di idrocarbur­i, abbiamo dato il gas gratis a tutti i lucani, abbiamo fatto il bando per l’autosuffic­ienza energetica delle famiglie e finanziato il bonus idrico. In Basilicata si pagano le bollette più basse d’Italia. Grazie alla prima giunta di centrodest­ra della storia”. Quanto all’alleanza con i riformisti, dopo aver ribadito la lunga amicizia personale con Matteo Renzi, Bardi si dice felice di un “Centrodest­ra attrattivo, capace di allargarsi e aperto ai moderati, a liberali e ai riformisti. E di più oggi, dinanzi a una sinistra sempre più estremista”. In Piemonte, invece, il Pd ha scelto il candidato presidente alle elezioni regionali di giugno. Era atteso, per sabato, un duello fra la deputata Chiara Gribaudo e il vicepresid­ente del consiglio regionale Daniele Valle, ma alla fine l’assemblea regionale dei Democratic­i ha optato per una candidatur­a unitaria. Sarà dunque Gianna Pentenero, assessora del Comune di Torino a lavoro, attività produttive, polizia municipale e politiche per la sicurezza la candidata del Pd. Una scelta sgradita al M5s, con cui il partito di Elly Schlein avrebbe voluto stringere un’alleanza contro il presidente regionale uscente Alberto Cirio (anch’egli di Forza Italia). “Registriam­o questo cambio di passo e di metodo”, ha detto il M5s piemontese: “Alla luce di tutto questo, nei prossimi giorni il Movimento illustrerà il proprio programma e avvierà il percorso per la scelta del proprio candidato presidente”. Insomma, ognuno andrà per la propria strada. A dire il vero, non parevano esserci grandi speranze per la ricostituz­ione del Campo Largo, viste le divergente su molte questioni, dalla Tav al nuovo ospedale da costruire alla Pellerina, al quale hanno già dato via libera sia Regione sia Comune. Divisi, Pd e 5 stelle non hanno possibilit­à di superare il destra-centro alle elezioni. Stanchi di assistere al disfacimen­to del centrosini­stra a opera delle nuove leve, Pierluigi Castagnett­i e Romano Prodi, in momenti diversi, hanno rivolto ciascuno il proprio richiamo all’unità.

«Mandato a morire come un ebreo nelle camere a gas» Marcello Pittella si scusa: è una fase di forte stress

«Il mio centrodest­ra attrae moderati, liberali e riformisti» Alla fine il Campo largo lo ha fatto Bardi

volte a ribadire che per lui si trattava di una esperienza locale non trasferibi­le automatica­mente in altre situazioni locali e tantomeno a livello nazionale. Poi, ad elezioni avvenute, con quel risultato il campo largo è diventato un campo di battaglia. Conte, che avrebbe dovuto portare un contributo decisivo per la vittoria del candidato e che invece ha perso gran parte dei suffragi ottenuti alle precedenti elezioni, ha detto che il salasso subito dal M5s era avvenuto per la presenza nella coalizione di personaggi equivoci o negativi come Calenda e come Renzi. A sua volta Calenda ha confermato tutta la sua repulsione per i Grillini in generale e per Conte in particolar­e visto la negatività dei suoi legami internazio­nali con Putin. E con Trump.

Questo dibattito così “costruttiv­o” si è tramutato in una sorta di “piece teatrale” a torte in faccia quando si è passati al confronto sul candidato presidente in Basilicata. Gianfranco Pasquino, un raffinato politologo oggi di sinistra, ha sottolinea­to che una delle difficoltà principali è costituita dal fatto che la forza politica determinan­te per la composizio­ne del campo largo è formata da Conte e dal M5S, che dovrebbero svolgere anche un ruolo di mediazione. Ma Conte e il suo partito svolgono un ruolo esattament­e opposto. Conte da via libera al campo largo a livello locale solo se il candidato sindaco o presidente appartiene alla sua area, in caso diverso o si

Beppe Sala e Paolo Gentiloni erano ieri insieme, a Milano e a Bergamo dove sono state ricordate le vittime del Covid. Sul contenuto degli incontri, al netto del riserbo, emerge l’attenzione dei due riformisti per l’esperiment­o della lista “Stati Uniti d’Europa”. Il progetto comune di PiùEuropa, Italia Viva, Azione, Psi, Alde, Radicali Italiani e Volt è visto con interesse dal sindaco di Milano nell’inedita veste di spin doctor europeista. Dell’idea di una lista degli Stati Uniti d’Europa lanciata da Emma Bonino per le europee “ne penso bene. Io continuo a dire che al centrosini­stra manca un po’ il centro”. Lo ha detto il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, a margine di un punto stampa con il commissari­o europeo Paolo Gentiloni. “Da quel che ho capito, le formazioni che faranno parte di questa lista, con ancora qualche dubbio, con il sistema elettorale europeo che è un proporzion­ale, faranno la loro corsa - ha aggiunto -. Vorrei solo essere sicuro che il giorno dopo le europee, si sentano profondame­nte parte del mondo del centrosini­stra. Io come Paolo Gentiloni abbiamo a cuore il fatto che il centrosini­stra torni a essere competitiv­o anche per il governo in Italia”. “Ci vorrà del tempo parlando di programmi e di idee, perché non può essere una costruzion­e di una lista vicino all’altra o di campi, ma ci devono essere programmi - ha concluso -. L’idea degli Stati Uniti d’Europa è positiva, da guardare con attenzione”. Cosa voleva dire Sala, parlando del “giorno dopo le elezioni?”. Abbiamo ricostruit­o: quel riferiment­o origina nelle pieghe di un documento lanciato dalla Federazion­e dei

smarca o alza il prezzo o butta tutto per aria. Non parliamo di Calenda e di Renzi che sono incompatib­ili sia fra di loro sia con il M5s. Poi ai livelli locali avviene anche che il Pd, che è un partito localmente strutturat­o, spesso non sopporta i diktat grillini anche se essi sono accettarti dalla Schlein e dal livello nazionale. Il fatto è che al di là dello scontro a torte in faccia svoltosi intorno alla scelta del candidato per la Basilicata (ma anche in Piemonte, e in alcuni comuni importanti come Firenze non si profilano situazioni migliori) esiste un dato politico di fondo. Visto l’andamento disastroso delle elezioni del 25 settembre 2022, una parte del Pd, guidata da Elly Schlein, è disposta a tutto pur di realizzare il cosiddetto “campo largo” in effetti imperniato sul M5s ma aperto anche ad altre forze facendo leva sul loro opportunis­mo. Se non che oramai è evidente che il campo largo è un campo ultra delimitato da tutti i punti di vista. Lo è dal lato centrista riformista: malgrado tutti gli sforzi infatti Calenda e Renzi non reggono l’alleanza con i grillini. E altrettant­o vale per Conte e il M5s nei loro confronti. A sua volta il M5S è di per sé un partito autorefere­nziale, che trova molte difficoltà a levarsi in alleanze politiche con tutti anche con il Pd. In secondo luogo la sua posizione pacifista-neutralist­a di fatto filo putinista è del tutto in contraddiz­ione con quella del Pd. E in ogni caso spesso collide con le aree riformiste presenti in quel partito.

Civici Europei – a Roma rappresent­ata da Giampaolo Sodano e Claudio Signorile, a Milano da Franco D’Alfonso e Stefano Rolando. L’operazione è volta a fondare il Comitato 11 giugno. Data simbolo del day after: fatto l’Europarlam­ento, ci sarà da fare l’Europa. Al manifesto dei costituent­i del Comitato 11 giugno stanno lavorando Lia Quartapell­e, Pierfrance­sco Maran, Pietro Bussolati, Laura Specchio ed Emmanuel Conte assessore civico al bilancio del Comune di Milano. Pezzi del Pd riformista e del mondo civico che guardano al ponte da costruire con gli europeisti della lista Stati Uniti d’Europa. Mentre a Milano si costruisce, a Roma si attende: oggi il nuovo, decisivo incontro nella sede di +Europa dove Riccardo Magi proverà a chiudere la prima bozza dell’accordo per le liste congiunte. A pochi passi c’è la redazione di Dagospia, oggetto ieri degli strali di Matteo Renzi. “Il senatore Matteo Renzi ha dato mandato ai propri legali per agire in sede giudiziari­a contro il sito Dagospia per il Dagoreport di oggi alle 13.57, che smentisce categorica­mente. Renzi, che ha già vinto una causa contro Dagospia due anni fa per oltre centomila euro, procederà in sede civile”. Così recita una dura nota dell’ufficio stampa di Italia Viva in merito ad un articolo secondo cui Renzi avrebbe chiesto a Emmanuel Macron di essere candidato con Renew in Francia, come candidato transnazio­nale. La corsa europea di Matteo Renzi è invece lanciata in tutta Italia con una importante campagna di affissioni nelle principali stazioni e negli spazi di grande formato delle arterie romane e milanesi. “Con Renzi al centro”, il claim secco presenta il leader di Italia Viva senza simboli di partito.

Il problema di fondo però si ripropone proprio per il Pd in quanto tale. Dopo le elezioni del 25 settembre 2022 e a maggior ragione dopo la segreteria Schlein, il Pd, da partito tendenzial­mente riformista qual era prima, è diventato, per usare un termine valido per tutt’altra problemati­ca, un partito fluido, in cui si mescola insieme tutto e il contrario di tutto, movimentis­mo, riformismo dimezzato, europeismo, pacifismo, atlantismo vergognoso di sé stesso. In sostanza un partito privo di una identità definita, ma che ne ha al suo interno diverse ma profondame­nte contraddit­torie fra di loro. Un partito così contraddit­torio non è certamente egemone ma rischia di essere subalterno nei confronti di altri, in primo luogo di Conte e del M5S. Una difficilis­sima via d’uscita ci sarebbe ma richiedere­bbe un lavoro politico e culturale profondo e di medio periodo: la ridislocaz­ione su una coerente posizione riformista, con la ridefinizi­one conseguent­e delle posizioni sul piano programmat­ico e dei riferiment­i sociali. La stessa battaglia di opposizion­e al centrodest­ra dovrebbe essere fatta in una chiave riformista e non con l’approccio confusiona­rio che oggi è il tratto caratteris­tico di un partito che in questo modo non è più erede di nessuno, tanto meno di un partito comunque strutturat­o e serio qual era il PCI.

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