Percorrere la strada del Centro per arginare la deriva populista
Una cultura riformista, plurale, dinamica e di governo è essenziale anche contro il “bipolarismo selvaggio”, la vera insidia per la salute del nostro sistema politico
Anche in una cornice politica ancora fluida e liquida come quella contemporanea, alcune categorie di fondo non possono mai venire meno. Pena il trionfo del trasformismo politico e dell’opportunismo parlamentare. Certo, le elezioni locali - e quelle regionali rientrano a pieno titolo in questo genere - non possono mai essere paragonate a quelle nazionali. Per una molteplicità di motivazioni che però, a volte, si finge di dimenticare. Dal profilo del candidato a Presidente della singola Regione alle modalità concrete con cui si è arrivati alla sua designazione; dal progetto politico ed amministrativo che mette in campo alla gestione concreta che l’ha, magari, caratterizzato nel corso del suo mandato precedente. E gli esempi, al riguardo, non mancano nei diversi territori. Ma, al di là del profilo del candidato a Presidente o della coalizione che viene costruita sul versante locale, è indubbio che persistono anche delle costanti politiche, e culturali, che non possono e non devono essere sacrificate sull’altare della pura convenienza e del tatticismo più esasperato. E, al riguardo, se il vento del populismo anti politico e demagogico continua, purtroppo, ancora a soffiare c’è il dovere per la cultura democratica e riformista di porre un argine politico. E anche culturale e programmatico. Insomma, una sorta di “preambolo”
politico che vale sia per il versante locale e sia per quello nazionale. Ovvero, ci sono alcune discriminanti che non possono essere banalmente e qualunquisticamente aggirati. Tra questi c’è l’incompatibilità politica, culturale, programmatica e forse anche etica del Centro e della “politica di centro” rispetto al populismo demagogico, anti politico e qualunquista. Con qualsiasi deriva populista. A cominciare dal partito populista per eccellenza, cioè il partito di Conte e di Grillo. E questo a prescindere dal peso politico ed elettorale delle forze e dei partiti centristi. Perché si tratta di una costante che qualifica e giustifica la stessa “politica di centro” nel nostro paese e la sopravvivenza di un progetto che resta decisivo ed essenziale per conservare e rafforzare la qualità della nostra democrazia. Perché se così non fosse non solo si rinuncerebbe definitivamente a giocare un ruolo politico ma si contribuirebbe, indirettamente, anche a consolidare quel “bipolarismo selvaggio” che resta la vera insidia per la stessa salute del nostro sistema politico. E i segnali preoccupanti di questa deriva li possiamo, purtroppo, osservare quasi tutti i giorni. E l’argine alla deriva populista e demagogica è, forse, oggi, la priorità politica per eccellenza della nostra democrazia. Anche perché conosciamo gli effetti devastanti di questa deriva: dall’azzeramento delle tradizionali culture politiche all’esaltazione della improvvisazione delle classi dirigenti; dal rinnegamento di una concezione democratica del partito all’assenza di una cultura politica di riferimento alla pratica disinvolta del trasformismo.
Per queste semplici ragioni se il Centro, seppur nelle sue varie sfaccettature e sensibilità, vuole contribuire a battere la deriva e la malapianta del populismo nel nostro paese, non può rinunciare alla sua specificità politica, culturale e programmatica. Un aspetto, questo, che vale sia per gli appuntamenti elettorali locali come per quelli nazionali. In gioco, infatti, ci sono la credibilità, il prestigio e l’autorevolezza di un progetto politico. Ovvero, quello di un Centro riformista, plurale, dinamico e di governo. E il populismo, com’è naturale, si colloca sulla sponda opposta.