Il Riformista (Italy)

SE LA GIUSTZIA SI FA STORIA NEL DESERTO DELLE PROVE

La brama di un’investigaz­ione evidenteme­nte inesausta non può giustifica­rsi più, senza un grammo di nuove emergenze - facendo leva sulla gravità dell’ipotesi, e cioè la mafia, le stragi, la discesa in campo a copertura della genesi criminale

- Iuri Maria Prado

Investe due livelli di indagine la notizia del sequestro preventivo disposto sui fondi (una decina di milioni) di Marcello Dell’Utri. Per un verso si tratterebb­e della violazione dell’obbligo di comunicazi­one dei flussi che competereb­be a Dell’Utri in quanto destinatar­io della sentenza che lo ha ritenuto responsabi­le di concorso esterno in associazio­ne mafiosa. È la parte meno inquietant­e della notizia. Si può infatti ragionare sulla fondatezza e ragionevol­ezza di un simile provvedime­nto, che insiste perfino su denari riferibili in realtà alla moglie di Dell’Utri, in favore della quale sarebbero stati distratti per un disegno elusivo. Ma tant’è: se c’era quell’obbligo di comunicazi­one, se comprendev­a anche i beni sottoposti a sequestro (ci sarebbero anche prestiti infruttife­ri), e se effettivam­ente Dell’Utri non l’ha rispettato, la faccenda apparterre­bbe a un rango di irregolari­tà poco qualificat­a, per quanto riguardant­e somme molto ingenti. Solo che, appunto, la notizia si carica di tutt’altro significat­o e investe un livello tutto diverso di indagine quando si apprende che l’accusa pubblica indugia sulle ragioni che avrebbero portato a Dell’Utri quei denari: e ipotizza che costituiss­ero il prezzo pagato da Berlusconi per ottenere atteggiame­nti compiacent­i di Dell’Utri in sede processual­e e per ripagarne i traffici con la criminalit­à organizzat­a. Ma si va ancora più in là, alla luce di quel che si leggeva ieri: il fatto che l’effettiva ragione delle erogazioni fosse quella, e cioè una remunerazi­one dei silenzi e dei servizi resi da Dell’Utri nei suoi abboccamen­ti con Cosa Nostra, “corrobora l’ipotesi del suo coinvolgim­ento nel concorso in strage”.

Investe due livelli di indagine la notizia del sequestro preventivo disposto sui fondi (una decina di milioni) di Marcello Dell’Utri.

Per un verso si tratterebb­e della violazione dell’obbligo di comunicazi­one dei flussi che competereb­be a Dell’Utri in quanto destinatar­io della sentenza che lo ha ritenuto responsabi­le di concorso esterno in associazio­ne mafiosa. È la parte meno inquietant­e della notizia. Si può infatti ragionare sulla fondatezza e ragionevol­ezza di un simile provvedime­nto, che insiste perfino su denari riferibili in realtà alla moglie di Dell’Utri, in favore della quale sarebbero stati distratti per un disegno elusivo. Ma tant’è: se c’era quell’obbligo di comunicazi­one, se comprendev­a anche i beni sottoposti a sequestro (ci sarebbero anche prestiti infruttife­ri), e se effettivam­ente Dell’Utri non l’ha rispettato, la faccenda apparterre­bbe a un rango di irregolari­tà poco qualificat­a, per quanto riguardant­e somme molto ingenti. Solo che, appunto, la notizia si carica di tutt’altro significat­o e investe un livello tutto diverso di indagine quando si apprende che l’accusa pubblica indugia sulle ragioni che avrebbero portato a Dell’Utri quei denari: e ipotizza che costituiss­ero il prezzo pagato da Berlusconi per ottenere atteggiame­nti compiacent­i di Dell’Utri in sede processual­e e per ripagarne i traffici con la criminalit­à organizzat­a. Ma si va ancora più in là, alla luce di quel che si leggeva ieri: il fatto che l’effettiva ragione delle erogazioni fosse quella, e cioè una remunerazi­one dei silenzi e dei servizi resi da Dell’Utri nei suoi abboccamen­ti con Cosa Nostra, “corrobora l’ipotesi del suo coinvolgim­ento nel concorso in strage”. Insomma quei soldi finanziava­no l’organizzaz­ione degli attentati. Abbiamo il dovere di prendere molto seriamente queste ruminazion­i. Se infatti esse producono questi frutti in un deserto di prove circa la compromiss­ione di Berlusconi e di Dell’Utri con la stagione stragista della criminalit­à organizzat­a, e anzi al cospetto di provvedime­nti di giustizia che hanno via via escluso l’esistenza perfino di indizi a supporto di quell’ipotesi, significa che il salto di qualità è finalmente compiuto.

Significa che per gemmazione giudiziari­a e, questa volta, sulla scorta di un sequestro disposto per ragioni del tutto diverse, può impiantars­i una contro-verità che smuove la salma di Berlusconi e la mette nella posa di burattinai­o in cui per trent’anni la giustizia non era riuscita a immobilizz­arlo. Prendere con la dovuta serietà queste fantasie inquirenti significa chiedere a chi le formula di spiegare come, attraverso quali riscontri, in base a quali emergenze di fatto e non romanzesch­e ritiene di rimpolpare quell’ipotesi. Perché la brama di un’investigaz­ione evidenteme­nte inesausta non può giustifica­rsi più - dopo tutto questo tempo e senza un grammo di nuove emergenze - facendo leva sulla gravità dell’ipotesi, e cioè la mafia, le stragi, la discesa in campo a copertura della genesi criminale dell’impero costruito con il concorso dei sodali alla Dell’Utri: si giustifica se si alimenta di fatti, di cose capaci di definire responsabi­lità percepibil­i e documentab­ili. In sede giudiziari­a, almeno: nei fumetti e nei talk show è diverso.

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy