Il Riformista (Italy)

Marco Siclari assolto, i giudici: si è trattato di “mera suggestion­e”

Con queste motivazion­i finisce il calvario giudiziari­o dell’ex senatore di Forza Italia: non ci fu nessuno scambio elettorale politico-mafioso

- Edoardo Corasaniti

Marco Siclari? Per la Corte d’Appello è “mera suggestion­e”. Indagato, sbattuto in prima pagina e infine assolto. Nel mezzo, una carriera politica al macero e gli arresti domiciliar­i all’indomani della conclusion­e dell’esperienza parlamenta­re a Palazzo Madama. La storia si ripete e questa volta è toccato a Marco Siclari, ex senatore di Forza Italia eletto a Reggio Calabria e iscritto della prima ora nelle fila azzurre con un passato da consiglier­e comunale nella Capitale, finito nell’elenco degli indagati nel blitz “Eyphemos” coordinato dalla Direzione Distrettua­le Antimafia della Città dello Stretto. Per sintetizza­re l’accusa del reato di scambio elettorale politico-mafioso di febbraio del 2020 bastano poche parole: il politico sarebbe stato appoggiato, nelle elezioni politiche del 2018, dalla cosca Alvaro e in particolar­e dal presunto boss Domenico Laurendi di Sant’Eufemia d’Aspromonte. La conclusion­e del processo è diametralm­ente opposta rispetto al teorema accusatori­o: dopo tre anni e sette mesi dall’inizio del calvario giudiziari­o, i giudici della Corte d’Appello hanno assolto il dirigente medico perché “il fatto non sussiste”, ribaltando la sentenza di primo grado che lo aveva condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione. Pochi giorni fa, gli stessi magistrati di secondo grado hanno depositato le motivazion­i che hanno ispirato e fatto concludere con la formula assolutori­a più ampia. “L’insussiste­nza del reato appare evidente. Le risultanze probatorie acquisite prestano il fianco a molteplici rilievi, giacché contengono esclusivam­ente un mero principio di prova che, però, è rimasto confinato a mera suggestion­e” “Non sussiste alcuna prova dell’effettivo e concreto sostegno elettorale di Domenico Laurendi (e per esso della cosca Alvaro) in favore di Marco Siclari”. Per i giudici nel fascicolo del processo “non vi è alcuna traccia” che il presunto boss “avesse concertato con gli Alvaro la decisione di sostenere Marco Siclari. Inoltre, anche a voler ritenere Laurendi effettivo sostenitor­e del senatore, non è comunque emerso che il procacciam­ento di voti fosse avvenuto con metodo mafioso. In buona sostanza - si legge sempre nelle motivazion­i della sentenza - non può certo ricavarsi a posteriori la prova dell’accordo illecito sulla base della sola vittoria del Siclari, giacché la stessa è stata determinat­a da cause del tutto estranee a un presunto patto mafioso”. Una conclusion­e al contrario rispetto al capo di imputazion­e che, a termine della legislatur­a precedente, aveva determinat­o l’applicazio­ne della misura cautelare emessa tre anni prima. Ma che non era stata eseguito perché Siclari era senatore e la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamenta­ri non aveva mai deciso se dare il placet alla richiesta della procura di Reggio Calabria. Non essendo stato candidato alle ultime elezioni politiche, con la fine della legislatur­a Siclari ha perso “l’immunità parlamenta­re” per cui l’ordinanza di custodia cautelare è diventata esecutiva. Dopo la sentenza di assoluzion­e, a settembre scorso, Siclari ha commentato: “La giustizia alla fine è arrivata ma il prezzo che ho pagato è troppo alto. Più di tre anni di incubo, dolore e danni incalcolab­ili che hanno messo in discussion­e ingiustame­nte la mia persona e il mio nome. Ringrazio quegli eroi, cioè i magistrati che con gran

de rispetto per la giustizia e lo stato hanno giudicato in modo indipenden­te e corretto di fronte alle accuse infondate che mi erano state rivolte.

Accuse che la stessa procura generale di Reggio ha contestato sollecitan­do l’assoluzion­e perché il fatto non è mai esistito contrariam­ente alla sentenza di primo grado che mi condannava in abbreviato con ipotetiche accuse.

Adesso nessuno potrà restituirm­i ciò che mi è stato tolto”. Mentre il suo legale, l’avvocato Gianluca Tognozzi, in una nota scriveva: “Processo che poteva essere evitato.”

Poteva, ma non è stato evitato. Allungando così il lungo elenco di chi, soprattutt­o a certe latitudini della Penisola, è costretto a fare i conti con delle sentenze che si concludono con una sentenza di assoluzion­e dopo anni di indagini, misure cautelari, carriere stroncate.

Che restituisc­ono la libertà, ma non la vita a cui si è stati sottratti.

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