Il Cnel salvato dal governo? No, dagli italiani col referendum
È riduttivo affermare che le indennità a presidente e consiglieri siano un compenso per il “contributo” nell’affossare il salario minimo
Considero molto riduttivo (ed anche un po’ becero) sostenere che il governo intende varare delle norme sul CNEL allo scopo di poter erogare uno “stipendio” al presidente Renato Brunetta a compenso del suo “contributo” nell’affossare il salario minimo. Negli anni scorsi, il furore populista che pretendeva di trasformare la democrazia, le sue istituzioni e i relativi oneri in un spreco aveva preso di mira anche il CNEL privandolo delle risorse per la sua operatività (il bilancio attuale è di poco superiore ai 7 milioni annui ed è diminuito di oltre 12 milioni di euro nell’ultimo decennio) in vista di una riforma costituzionale (con targa Renzi/ Boschi) che avrebbe abolito, a loro dire, quell’“inutile orpello” a cui l’articolo 99 della Costituzione assegna invece insostituibili funzioni di intermediazione sociale. Non saremo certo noi a sostenere che gli italiani si siano espressi in maggioranza per il No nel referendum confermativo allo scopo di conservare in attività il Consiglio di Villa Lubin. È pur vero, d’altronde, che il responso dell’elettorato ha bocciato tutte le modifiche votate dal Parlamento, inclusa la soppressione del CNEL, dimostrando – grazie alla mano invisibile che interviene in particolari momenti della storia – molta maggiore saggezza del legislatore, che aveva peraltro “anticipato” di fatto l’“auspicato” esito abolizionista del referendum con discutibili ed illegittimi interventi normativi. Il CNEL, infatti, nel corso degli anni di rado è stato ascoltato nella sua attività di osservazioni e proposte volta a svolgere in pieno il supporto all’iniziativa legislativa che la Costituzione gli affida, ma ha comunque reso operativa e sviluppato una funzione introdotta dalla legge di riforma del CNEL del 1986 che nessuno prima esercitava: quella di strutturare e implementare la banca dati e l’osservatorio sulla contrattazione collettiva, ovvero su di una materia diffusa e frantumata, ma che riguarda l’esistenza di milioni di lavoratori e delle loro famiglie. In questa attività si è distinta anche la precedente consiliatura con la presidenza di Tiziano Treu, che è stata in grado di far approvare dal Parlamento una norma molto importante (il c.d. codice alfanumerico) per la classificazione dei contratti depositati e quindi, in prospettiva per l’individuazione di quelli maggiormente applicati e per il contrasto degli accordi “pirata”. Inoltre, in una fase in cui l’intermediazione sociale incontra parecchie difficoltà e il mondo del lavoro è chiamato ad affrontare le sfide delle transizioni digitale, demografica e ambientale, può essere di estrema utilità valorizzare il ruolo e le funzioni del CNEL, rimaste sottoutilizzate per tanti anni, quale strumento di ricostruzione del tessuto connettivo sociale, economico e lavorativo del nostro Paese.
Più in generale sarebbe una scelta infelice avere a disposizione un organo di rilievo costituzionale “salvato dalle acque’’ e non poterne utilizzarne, al meglio, l’attività, perché qualcuno “colà dove si puote ciò che si vuole’’ si ostina tuttora a pensare che il CNEL sia un organo inutile, previsto da una norma vetusta nel redigere la quale, a suo tempo, si smarrì quella saggezza che il presidente Sergio Mattarella (che, da parlamentare, fu relatore della legge 936/1986 di riforma del CNEL) ha riconosciuto anche di recente ai Padri costituenti. Di sottecchi, nelle critiche, si intravvede un altro elemento. Essendo Renato Brunetta un professore ordinario universitario (quindi un ex dipendente della PA) in pensione, il suo caso - si fa osservare - potrebbe rientrare nei divieti previsti nel decreto legge n.95/2012 come modificato dal decreto legge n.90/2014 (decreto Madia) nella parte in cui era stabilito il divieto per le amministrazioni pubbliche di conferire incarichi dirigenziali a soggetti pubblici e privati già in quiescenza (nella PA è prevista la cessazione dal servizio di ufficio al momento della maturazione dell’età pensionabile), allo scopo di avvalersi dei medesimi dirigenti pubblici apicali o ex manager privati in pensione, affidando loro rilevanti posizioni di responsabilità ed ostacolare così il ricambio con dirigenti più giovani, fatta salva la possibilità di un incarico gratuito per la durata di un anno. Non è così. È evidente, infatti, che la norma non si applica al presidente di un organo di rilevanza costituzionale al pari di tutti i presidenti e i componenti degli altri organi di rilevanza costituzionale, composti nella stragrande maggioranza da figure aventi la medesima carriera accademica e politica del Presidente del CNEL, ancorché pensionato, in quanto la nomina non è effettuata da un’amministrazione pubblica e il suo non è un incarico né dirigenziale né di studio e ricerca. Possiamo quindi concludere che le indennità a presidente e consiglieri di un organo di rilevanza costituzionale siano del tutto funzionali e opportune per restituire al Cnel la funzione che la Costituzione gli assegna.