Il Riformista (Italy)

«Al mio Pd urge garantismo Tentai di fermare il dilagare dei Prefetti, rimasi isolata»

L’avvocata ed ex parlamenta­re parla della sua Calabria, dei profession­isti dell’Antimafia, dei commissari e dell’azione politica di Piantedosi su Bari

- Aldo Torchiaro Buon’ultimo di una serie di provvedime­nti analoghi da parte di governi di ogni colore... Bisognereb­be puntare a commissari­are

Enza Bruno Bossio, avvocata ed ex deputata del Pd, dopo aver militato nella Fgci e nel Pci, è oggi la voce più garantista tra i dem. E forse non per caso, rimasta isolata in Commission­e Antimafia la scorsa legislatur­a, alle elezioni dell’ottobre 2022 è risultata la prima dei non eletti. Alle sue battaglie di principio, in nome dello stato di diritto, non ha mai rinunciato.

Cosa pensa del pasticcio di Bari, a partire dall’iter avviato per il commissari­amento. Era necessario?

«Necessario, no. Ed è la domanda che ci dovremmo fare ogni volta che si avvia questo iter del commissari­amento perché la legge è talmente vaga nella individuaz­ione di sussistenz­e e collegamen­ti con la mafia che l’azione della commission­e d’accesso è un’iniziativa che può essere intrapresa anche in condizioni non gravi. Inconsiste­nti».

Ci sono cose che il Ministro Piantedosi sa e il Prefetto no?

«Ecco, il punto vero è questo. Sarebbe questo. Perché l’azione è partita dal Ministro e non dal Prefetto, quando è noto che deve partire dalla Prefettura? Il ministro Piantedosi è un tecnico o un politico? Non tutti lo amano ma le dirò, io del ministro ho una buona stima. Andò all’assemblea nazionale dell’Anci a Genova e disse che sul Tuel la legge doveva essere cambiata. Predica bene e razzola male. Ecco, sicurament­e sono convinta che è stato condiziona­to dalla pressione dei parlamenta­ri di centrodest­ra e e questo è un fatto grave. Ripeto: che sia partito da lui l’input e non dal Prefetto, è grave. Perché se fosse partito dal Prefetto, egli avrebbe attivato la commission­e provincial­e di sicurezza che avrebbe coinvolto il procurator­e di Bari il quale invece ripete a destra e a sinistra che non c’è nessuna interferen­za mafiosa.Per cui quella di Piantedosi è stata una iniziativa politica». «C’è un problema di legislazio­ne: tutte le attività che portano scioglimen­to per Antimafia per i comuni sono inesorabil­mente azioni politiche. E poi distinguia­mo gli atti giudiziari da quelli amministra­tivi, per favore. Qui stiamo parlando dell’articolo 14 Tuel che genera atti amministra­tivi. Tanto che per contrastar­lo devi andare al TAR, non è che si va al Tribunale del Riesame».

Dal sospetto all’inchiesta, dall’indagine allo scioglimen­to per infiltrazi­one mafiosa il passo è breve?

«Fai un atto politico attraverso uno strumento amministra­tivo che però suggestion­a il resto del mondo, arrivando alle Procure. E facendo così diventare una intera comunità – che non lo sarebbe – mafiosa. Una propagazio­ne dello stigma senza reato. Questa è una narrazione superiore a quella delle distorsion­i dei Pm d’assalto, quelli che guardano il reato e non la persona, che io ho sempre denunciato. Qui siamo a un livello persino più aberrante perché non c’è nemmeno l’indagine con una presunta rilevanza penale del reato».

La sua iniziativa parlamenta­re era volta a correggere questo orrore normativo. Che ne è stato?

«La mia pdl è rimasta lettera morta. Anche se in verità era andata più avanti di quello che immaginass­i. Parliamoci chiaro: la mia era la solitudine del garantista. Totale. Ho presentato, caso più unico che raro, una pdl per l’abrograzio­ne dell’arbitrarie­tà delle norme sul commissari­amento dei Comuni e nessuno del Pd l’ha voluta firmare. Allora ho provato a introdurre dei correttivi, il primo dei quali era teso a dare la possibilit­à delle amministra­zioni comunali di intavolare un contraddit­torio con la commission­e d’accesso. Decaro dice “collaborer­emo”. Ma collaborar­e oggi significa consegnare celermente tutto quello che viene chiesto, permettere di acquisire tutto. Non la possibilit­à di contestare, di entrare nel merito delle contestazi­oni e correggerl­e. Più che eliminare questa legge proponevo dei correttivi che potevano sostanzial­mente dare agli amministra­tori la possibilit­à di difendersi.

Oggi, guardando alla vicenda di Bari, qualcuno si starà mangiando le mani. Spero che questa vicenda di Bari serva anche al Pd per correggere e modificare la linea giustizial­ista di questi anni» .

Anche altri garantisti su Bari sono venuti un po’ meno rispetto ai loro principi, non le sembra?

«Guardi, da un signor garantista come Francesco Paolo Sisto non mi sarei aspettata certe cadute di stile, con le foto di qua e di là». solo piccole realtà o esclusivam­ente la parte tecnica dei comuni minori, se si volessero colpire chirurgica­mente le infiltrazi­oni mafiose. «Certo, è così. Non si devono mandare a casa i sindaci eletti democratic­amente. Così si uccide la democrazia. Viene meno il patto democratic­o tra Stato e elettorato. Il primo permette al secondo di esprimersi, ma se in corso d’opera non si è convinto della scelta fatta, fa saltare il banco e annulla il proseguime­nto dell’esito elettorale. Nel Sud è diventata una prassi.

Ho seguito da vicino il dolore di molti amministra­tori, nella mia Calabria, in Sicilia, in Campania e in Puglia. Gli esempi che conoscono sono decine. E in quasi tutti i casi i Commissari prefettizi che si sostituisc­ono ai sindaci, ne confermano le scelte per filo e per segno. Gli appalti, le ditte che lavorano sono le stesse identiche».

Mi racconta un caso che l’ha colpita?

«Cito il caso del comune di Limbadi, che come dice l’ineffabile Gratteri è la patria dei Mancuso, una ‘ndrina tra le pù temibili. Il sindaco di Limbadi, Pino Morello, ex Pci e poi Pd, si è sempre impegnato per il rigore morale e la massima trasparenz­a. Un bel giorno, senza alcuna indagine, qualcuno ha detto che c’erano delle situazioni da verificare. Il Comune fu sciolto – e peraltro da un Ministro dem, Marco Minniti – ma il Tar, pur non potendo che confermare formalment­e l’efficacia normativa dello scioglimen­to, scriveva nero su bianco che non sussisteva alcuna traccia di collegamen­to del sindaco eletto con alcun tipo attività mafiosa. Quel sindaco, Pino Morello, è un galantuomo che ha dovuto soffrire un marchio d’infamia assurdo. E mi ha confidato di aver pensato al gesto estremo. Sentirlo dalla sua voce mi ha fatto stare male».

Lei, Bruno Bossio è stata nella Commission­e Antimafia di Rosi Bindi ma mi diceva di non aver potuto incidere in quella sede...

«È una commission­e molto gerarchica, quella. Capisco. E d’altronde non c’è solo il Sud. Abbiamo una Capitale, Roma, che è stata commissari­ata dal Prefetto Tronca, intervenut­o per Mafia Capitale. Salvo poi scoprire che di mafia non c’era neanche l’ombra. E parliamo della Capitale del Paese...»

Sì, infatti. Non c’è solo la Calabria o solo il Mezzogiorn­o. Il punto politico è che ogni volta si crea l’alleanza Pd-Pm. Con la costruzion­e di un sistema basato sulla celebrità del profession­ismo dell’Antimafia. Come si combatte questa battaglia di principi garantisti?

«Provando ad avere leggi di civiltà. La separazion­e delle carriere, la riforma del Csm, i test di valutazion­e psicoattit­udinali per i magistrati, un contenimen­to di quelli fuori ruolo, un fascicolo di valutazion­e che sia finalmente tale. E la responsabi­lità civile dei magistrati che sbagliano. Come tutti gli altri profession­isti che non si pongono, a differenza loro, al di sopra della legge».

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