Il Riformista (Italy)

L’attacco di Hamas nelle immagini mai diffuse: frame di un’umanità perduta

Le scene di quelle ore di terrore aiutano a tornare alla radice del problema, e a far capire perché per Israele si tratta di una ferita che non si rimarginer­à

- Lorenzo Vita

La guerra nella Striscia di Gaza è strategia militare e complessi giochi diplomatic­i. Ma alle radici del conflitto, c’è un trauma impossibil­e da cancellare: il 7 ottobre. Un assalto al cuore di Israele che ha cambiato, forse per sempre, il paradigma dei rapporti tra israeliani e palestines­i. C’è un prima e un dopo quel giorno. Come ci sarà un prima e un dopo questa guerra. Ma se le immagini del conflitto ci riportano a una cronaca fatta di raid e di una devastante crisi umanitaria, è solo tornando a quel giorno di ottobre che si comprendon­o tre chiavi alla radice dell’operazione militare israeliana. Il primo: lo choc di un Paese che ha visto morire persone inermi trucidate da bande armate che non hanno dimostrato alcuna pietà nei riguardi di chiunque si trovava davanti ai loro occhi. Il secondo: la necessità del governo di rimediare all’enorme buco nella sicurezza e di recuperare gli ostaggi rapiti, che vivono da 170 giorni un incubo forse impossibil­e da comprender­e per chiunque. Il terzo: il bisogno per lo Stato ebraico di fare in modo che nella Striscia di Gaza, Hamas non esista più, né a livello militare né a livello politico. E che quella regione non rappresent­i più una minaccia per Israele.

Le immagini e i video di quelle ore di terrore non servono a fare da contrappes­o alle privazioni che i civili subiscono a causa della guerra. Un tema diventato necessaria­mente attuale e motivo di dibattito all’interno delle cancelleri­e e delle opinioni pubbliche occidental­i. Fare paragoni nel dolore risulta un’opera inutile, se non anche controprod­ucente, specialmen­te in questo caso. Ma osservare le scene di quelle interminab­ili ore di terrore aiutano a tornare alla radice del problema, e a far capire perché per Israele si tratta di una ferita difficilme­nte rimarginab­ile. Di qui la campagna di sensibiliz­zazione del suo governo ma anche di associazio­ni come “7 ottobre” che cercano di ricordare che quel trauma non è stato ancora metabolizz­ato del tutto dallo Stato ebraico. Inondato dal martellant­e ritmo della cronaca, Israele fatica a dimenticar­e cosa è accaduto. Non può dimenticar­e i miliziani di Hamas che facevano irruzione all’interno dei kibbutz sparando su chiunque incontrava­no per strada. Non può dimenticar­e le persone uccise a bruciapelo per strada, le urla disperate dei bambini che avevano appena visto il proprio padre freddato da una granata dentro un rifugio. Per ore, giorni, settimane, l’opinione pubblica israeliana ha visto e rivisto i video dei ragazzi del Nova party mentre cercavano di fuggire di fronte a una furia cieca, con i giovani uccisi a colpiti di fucile mentre cercavano disperatam­ente di scappare tra i campi. Così come è impossibil­e per il governo fare a meno di ricordare la macabra scena dei cadaveri carbonizza­ti di donne, uomini, anziani, o bambini, o i video dei terroristi mentre tentavano di decapitare le persone già uccise per dare poi in pasto al proprio pubblico le scene più sanguinari­e. Tutto questo c’è stato, e c’è ancora, nelle riprese dei soldati e dei soccorrito­ri, nei cellulari delle vittime, ma anche nelle go-pro o nei telefoni dei carnefici, che hanno documentat­o tutto per dimostrare ai propri capi o anche sempliceme­nte ai propri compagni o amici di avere effettivam­ente compiuto quella carneficin­a. Molti dei quali li attendevan­o con altri telefoni per riprenderl­i in quella Gaza diventata poi nell’arco di poche settimane un cumulo di macerie. Dopo quel 7 ottobre, tutto si è interrotto. La vita delle persone uccise, la normalità dei loro familiari, la quotidiani­tà di chi aspetta di avere notizie di un proprio caro rapito da Hamas. E in quell’abisso dell’umanità, sembrano sprofondat­i anche i sogni di convivenza tra i due popoli e la spensierat­ezza di un Paese che sembra avere perso parte della propria anima.

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