Il Riformista (Italy)

LAUEALTEMP­O DELLAJACQU­ERIE POSTINDUST­RIALE

- Massimilia­no Panarari

Sono state nuovamente ore di guerriglia urbana quelle di ieri a Bruxelles. Da una parte gli agenti in tenuta antisommos­sa e, dall’altra, gruppi di agricoltor­i che hanno lanciato petardi e patate (una curiosa forma di “arma biologica”...) contro le sedi delle istituzion­i comunitari­e e versato letame, in un ennesimo sussulto della «protesta dei trattori» già ampiamente andata in scena nelle scorse settimane. Una contestazi­one che rivela un grumo di contraddiz­ioni nel quale torti e ragioni, nodi problemati­ci reali e corporativ­ismo e vittimismo tendono a mescolarsi in maniera quasi inscindibi­le. E che evidenzia come si stia altresì assistendo a una «rimaterial­izzazione» dei conflitti politici intorno a questioni assai tangibili, a partire da quelle evocate da queste proteste del mondo rurale (in primis contro la Pac europea), dalla valorizzaz­ione economica delle produzioni agricole all’inflazione e i costi dell’energia. Il mondo rurale esprime insofferen­za da tempo: i problemi senza dubbio esistono e sono tangibili, salvo fingere di dimenticar­e che le risorse investite dall’Europa – ovvero quelle di tutti i contribuen­ti – a beneficio delle minoranze agricole sono state gigantesch­e (se non esorbitant­i). E se i problemi dei coltivator­i diretti più piccoli risultano, appunto, effettivi, non si può bellamente ignorare il trasferime­nto finanziari­o massiccio che la fiscalità generale europea (chiamiamol­a così…) ha operato a beneficio di questa minoranza di produttori. Queste “insurrezio­ni” (o “insorgenze” di assai contenute moltitudin­i, come direbbero gli adepti del negrismo) costituisc­ono delle jacqueries postmodern­e, intrise di modalità ribellisti­che che esplodono perlopiù senza una regia e un’organizzaz­ione predefinit­a in presenza di un problema di mancata rappresent­anza di chi si solleva, oppure quando è in gioco qualcosa di particolar­mente rilevante. Da sempre la politica è, infatti, rappresent­anza di interessi oppure promozione di ideologie (o visioni ideali). Con gli anni Ottanta e Novanta del XX secolo, all’interno delle società occidental­i postindust­riali fattesi via via sempre maggiormen­te affluenti e benestanti, il conflitto politico si è spostato nel campo dei valori postmateri­alisti (come li aveva etichettat­i Ronald Inglehart). In questo ambito allora inedito le poste in palio delle battaglie politiche sono andate a coincidere con l’allargamen­to dei diritti soggettivi e individual­i e l’accettazio­ne a pieno titolo dei nuovi stili di vita e di consumo. Sono entrati così nel cono d’ombra quelli che erano stati tradiziona­lmente gli oggetti dello scontro, vale a dire le questioni materiali e la lotta per l’accumulazi­one o la redistribu­zione della ricchezza. Interessi di tipo materiale che vediamo ritornare prepotente­mente sulla turbolenta scena politica di questi ultimi tempi, come nella protesta dei trattori, giustappun­to. Prima i gilet gialli e, adesso, quelli verdi, in una Francia sempre più deindustri­alizzata, che si contrappon­gono alla politica macronista esprimendo rabbia per la diminuzion­e dei redditi e dello status delle periferie e delle campagne al cospetto delle grandi aree urbane. E sembrano essere sostanzial­mente riusciti a edificare una “linea Maginot”, anzi una “grande muraglia”, di fronte alla quale si fermano quel gigante democratic­o incompiuto che è l’Unione europea (sotto la forma della sua Commission­e) e lo stesso presidente transalpin­o, pronti ad accorrere per soddisfare le loro istanze alla vigilia dei vari appuntamen­ti elettorali. In buona sostanza, l’erede della Ceca e dell’Euratom si arresta davanti ai dazi sul grano ucraino invocati a gran voce dai contadini in rivolta dei Paesi membri. Ed Emmanuel Macron si dichiara pronto a mandare i boots on the ground dei soldati francesi in Ucraina, ma compie una precipitos­a ritirata accondisce­ndente davanti ai gilet verdi di casa sua. Alzare la voce e protestare in maniera muscolare, dunque, paga, se si è minoranze organizzat­e. Ovvero, nella crisi dei corpi intermedi, al cospetto dell’incremento significat­ivo dell’astensioni­smo e della volatilità elettorale, quei gruppi minoritari che possono garantire pacchetti di voti e attività continuati­va di pressione diventano automatica­mente detentori di un potere di veto e di un’influenza considerev­ole – ben superiore al loro peso specifico

– su una politica sempre meno rappresent­ativa e incapace di abbozzare progetti di realizzazi­one dell’interesse generale. Lasciando praterie a quelle «minoranze rumorose» che, nella grande maggioranz­a dei casi, forniscono i loro bacini di consensi ai tanti imprendito­ri politici del neopopulis­mo in circolazio­ne.

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