Il ritorno di fiducia che oscura i populisti
Il problema evidentemente non è l’euro, ma è il protezionismo politico nazionale. Sono 25 anni che le tentazioni protezioniste hanno sconvolto la tradizionale divisione destra-sinistra introducendo una dimensione ancora più preordinata come quella tra ciò che è interno e ciò che è esterno ai confini nazionali. L’impatto della globalizzazione, attraverso l’immigrazione e i commerci, ha modificato i termini in cui il reddito si produce e si distribuisce e ha cambiato la nostra idea di uguaglianza e il suo rapporto con la libertà delle scelte. L’Europa, elemento politico non nazionale e favorevole all'apertura dei confini, ha assunto un carattere politico reso ancora meno agevole dall'insistenza sui temi dell'austerità nazionale e dalla scarsa inclinazione a declinare in forme nuove il tema della solidarietà.
Le formazioni protezioniste hanno frammentato ovunque sistemi di partito che erano prima sostanzialmente divisi solo tra destra e sinistra. Nei vecchi sistemi l'obiettivo della contesa politica era conquistare il centro dell'elettorato, l'elettore mediano. Ciò spingeva i partiti su posizioni moderate. Ma la globalizzazione ha fatto sì che proprio quell'elettore diventasse poco moderato. I redditi dell'elettore mediano sono calati o rimasti fermi anche quando l'economia cresceva. I redditi della cittadinanza più integrata nell'economia sono cresciuti, ma quelli della popolazione relativamente meno dinamica, meno avvantaggiata o talvolta meno istruita, sono stati erosi dalla concorrenza che veniva da fuori confine. Sotto stress, il sistema di garanzie sociali, la sicurezza del lavoro e del welfare, ha portato i debiti pubblici a livelli non sostenibili. Il fallimento potenziale dello Stato ha creato irritazione per le élite della politica e per i loro comportamenti moralmente equivoci.
La crisi finanziaria europea ha ulteriormente aggravato gli elementi critici: debiti pubblici, sacrifici fiscali, riforme che hanno eroso le sicurezze, inadeguatezza delle leadership, delusione dei cittadini.
La risposta spesso – in Grecia, Italia e Germania tra gli altri - è stata di formare grandi coalizioni attorno a programmi “tecnici”. Ma per tutte le coalizioni tra partiti tradizionali, nate per mantenere i paesi legati all'integrazione europea, è stato necessario fare i conti con una contraddizione tipica dei paesi con popolazioni che invecchiano: l'elettore mediano europeo è anziano e quindi conservatore, si preoccupa più della stabilità dei sistemi pensionistici che della crescita economica del futuro, chiede di rappresentare la protezione di interessi presenti più che l'agenda europea di apertura dei confini e di scommessa in un progetto comune che negli ultimi anni lo ha, come minimo, deluso.
Venticinque anni di populismo e di errori dei partiti tradizionali hanno trasformato il linguaggio dell'elettore moderato e della politica. Il protezionismo nazionale si è radicato e il linguaggio anti-casta è stato fatto proprio dall'élite. L'Europa è di fatto uscita dal programma elettorale dei partiti tradizionali.
Poi un giorno una barca in mezzo al Mediterraneo si capovolge portando con sé la vita di 900 esseri umani. La realtà di un mondo terribile e bisognoso sembra per un attimo riaprire gli occhi. Sembra risvegliare antichi valori di apertura che rappresentano l'anima europea: l'essere umano come fine e non come strumento, la continua tensione tra le leggi degli uomini e quelle degli dei. Ma bastano poche ore e il riflesso protezionista, gli strumenti militari e i riferimenti agli interessi nazionali tornano a prevalere. Non è l'euro, non è l’Europa. Il problema siamo noi.