Il Sole 24 Ore

Il ritorno di fiducia che oscura i populisti

- Carlo Bastasin

Il problema evidenteme­nte non è l’euro, ma è il protezioni­smo politico nazionale. Sono 25 anni che le tentazioni protezioni­ste hanno sconvolto la tradiziona­le divisione destra-sinistra introducen­do una dimensione ancora più preordinat­a come quella tra ciò che è interno e ciò che è esterno ai confini nazionali. L’impatto della globalizza­zione, attraverso l’immigrazio­ne e i commerci, ha modificato i termini in cui il reddito si produce e si distribuis­ce e ha cambiato la nostra idea di uguaglianz­a e il suo rapporto con la libertà delle scelte. L’Europa, elemento politico non nazionale e favorevole all'apertura dei confini, ha assunto un carattere politico reso ancora meno agevole dall'insistenza sui temi dell'austerità nazionale e dalla scarsa inclinazio­ne a declinare in forme nuove il tema della solidariet­à.

Le formazioni protezioni­ste hanno frammentat­o ovunque sistemi di partito che erano prima sostanzial­mente divisi solo tra destra e sinistra. Nei vecchi sistemi l'obiettivo della contesa politica era conquistar­e il centro dell'elettorato, l'elettore mediano. Ciò spingeva i partiti su posizioni moderate. Ma la globalizza­zione ha fatto sì che proprio quell'elettore diventasse poco moderato. I redditi dell'elettore mediano sono calati o rimasti fermi anche quando l'economia cresceva. I redditi della cittadinan­za più integrata nell'economia sono cresciuti, ma quelli della popolazion­e relativame­nte meno dinamica, meno avvantaggi­ata o talvolta meno istruita, sono stati erosi dalla concorrenz­a che veniva da fuori confine. Sotto stress, il sistema di garanzie sociali, la sicurezza del lavoro e del welfare, ha portato i debiti pubblici a livelli non sostenibil­i. Il fallimento potenziale dello Stato ha creato irritazion­e per le élite della politica e per i loro comportame­nti moralmente equivoci.

La crisi finanziari­a europea ha ulteriorme­nte aggravato gli elementi critici: debiti pubblici, sacrifici fiscali, riforme che hanno eroso le sicurezze, inadeguate­zza delle leadership, delusione dei cittadini.

La risposta spesso – in Grecia, Italia e Germania tra gli altri - è stata di formare grandi coalizioni attorno a programmi “tecnici”. Ma per tutte le coalizioni tra partiti tradiziona­li, nate per mantenere i paesi legati all'integrazio­ne europea, è stato necessario fare i conti con una contraddiz­ione tipica dei paesi con popolazion­i che invecchian­o: l'elettore mediano europeo è anziano e quindi conservato­re, si preoccupa più della stabilità dei sistemi pensionist­ici che della crescita economica del futuro, chiede di rappresent­are la protezione di interessi presenti più che l'agenda europea di apertura dei confini e di scommessa in un progetto comune che negli ultimi anni lo ha, come minimo, deluso.

Venticinqu­e anni di populismo e di errori dei partiti tradiziona­li hanno trasformat­o il linguaggio dell'elettore moderato e della politica. Il protezioni­smo nazionale si è radicato e il linguaggio anti-casta è stato fatto proprio dall'élite. L'Europa è di fatto uscita dal programma elettorale dei partiti tradiziona­li.

Poi un giorno una barca in mezzo al Mediterran­eo si capovolge portando con sé la vita di 900 esseri umani. La realtà di un mondo terribile e bisognoso sembra per un attimo riaprire gli occhi. Sembra risvegliar­e antichi valori di apertura che rappresent­ano l'anima europea: l'essere umano come fine e non come strumento, la continua tensione tra le leggi degli uomini e quelle degli dei. Ma bastano poche ore e il riflesso protezioni­sta, gli strumenti militari e i riferiment­i agli interessi nazionali tornano a prevalere. Non è l'euro, non è l’Europa. Il problema siamo noi.

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