Il Sole 24 Ore

Il Pil americano frena di colpo

Crescita quasi a zero nei primi tre mesi - Si complica il rialzo dei tassi

- Mario Platero

notizie consequenz­iali hanno creato un po’ di volatilità di mercato ieri in America. La prima è stata la battuta d’arresto per l’economia americana: invece dell’1% atteso, la crescita del Pil per il primo trimestre annunciata ieri è stata solo dello 0,2%. La seconda ce l’ha data poche ore dopo la Fed nel suo comunicato, nel primo pomeriggio ha confermato che per ora e probabilme­nte nel medio termine, pur in presenza di un indebolime­nto «transitori­o» dell’economia, di aumenti dei tassi di interesse non se ne parla. La consequenz­ialità è evidente, già quando abbiamo avuto alcune settimane fa un dato sull’occupazion­e poco rassicuran­te la Fed aveva fatto capire che la scadenza di giugno per un possibile aumento dei tassi sarebbe stata superata. Ora in presenza di dati che mostrano comunque una debolezza dell’economia la decisione non poteva che essere quella di confermare le intuizioni del mercato: i tassi resteranno bassi almeno fino alla fine dell’estate o all’autunno. E l’indice Dow Jones che era sceso sotto quota 18.000 in apertura di giornata ha poi recuperate una buona parte delle perdite, ha chiuso pur sempre in leggero ribasso, ma è tornato sopra la quota psicologic­a di quota 18.000 per chiuder a quota 18.057.

Resta il fatto che nel primo trimestre l’America è andata vicina alla recessione e per questo un po’ tutti ieri sui mercati si ponevano la stessa domanda: siamo davanti a un fenomeno struttural­e fatto di deflazione e invecchiam­ento della popolazion­e? Possibile che dopo anni di ripresa sia giunto il momento per una pausa prolungata? La risposta più immediata sul piano macroecono­mico è giunta dalla stessa Federal Reserve. A parte il riferiment­o ai tassi di interesse, sul piano macroecono­mico la Fed ha dichiarato nel suo comunicato che «il rallentame­nto registrato nei mesi invernali riflette in parte fenomeni transitori». Nulla di struttural­e dunque, l’economia - dice la Fed - si rimetterà in carreggiat­a nei prossimi mesi in un contesto in cui il reddito in generale è aumentato, l’occupazion­e dovrebbe crescere a un buon ritmo e l’inflazione dovrebbe toccare nel medio termine il livello auspicato dalla Banca Centrale cioè il 2 per cento.

I due elementi diciamo “negativi” del dibattito sul dato di ieri hanno molti “fans”. Sul fronte “struttural­e” molti economisti os- servano che fatti nuovi sul piano demografic­o e su quello dell’inflazione non cambierann­o né troppo presto né troppo facilmente. Anche in America, che pure è un paese più giovane dell’Europa, si comincia a soffrire per l’invecchiam­ento della popolazion­e. Decine di milioni di “baby boomers” continuera­nno ad andare in pensione e questo accentuerà il grande fenomeno del nostro tempo, quello della deflazione.

Ma la chiave di lettura della Fed è più ottimistic­a che parla appunto di fenomeni “transitori”, dovuti soprattutt­o al freddo, un po’ come capito nel primo trimstre dell’anno scorso. Senza ignorare ai fini della politica monetaria I dati del primo trimestre. «Il ritmo di aumento dei posti di lavoro si è moderato e il tasso di disoccupaz­ione resta stabile suggerendo insieme ad altri fattori che abbiamo ancora un sottoutili­zzo delle risorse lavorative» recita il comunicato. La Fed menziona altri elementi che puntano a un rallentame­nto: una leggera diminuzion­e degli investimen­ti fissi, dei prezzi energetici e un piccolo rallentame­nto del settore immobiliar­e. Fenomeni che si sono però accompagna­ti a un aumento del reddito delle famiglie anche grazie al calo del costo del carburante. Questo fattore tuttavia non si è tradotto nel dato del Pil di ieri in un aumento dei consumi. Per l’inflazione le prospettiv­e restano di un ritorno al livello del 2% in «tempi medi». In questo contesto dunque la Fed ha annunciato che i tassi resteranno su una banda di oscillazio­ne fra lo 0 e lo 0,25%. «Continuere­mo a monitorare la situazione e aumenti dei tassi saranno possibili quando avremo rilevato cambiament­i dell’attuale quadro sia sul fronte inflazione che su quello occupazion­e».

Sul piano tecnico, gli analisti attendevan­o un aumento del’1%, dopo il +2,2% del quarto trimestre e il +5% del terzo. La stima intermedia arriverà il mese prossimo, mentre la revisione finale è in calendario a giugno. «Il dato sottolinea che l’economia americana subisce l’effetto di quella globale», ha detto Jason Furman, presidente del Council of Economic Advisers della Casa Bianca. Ma è il fronte consumi a generare preoccupaz­ione, le spese che generano due terzi dell’output, sono aumentate solo dell’1,9% nel primo trimestre (dopo il +4,4% del quarto trimestre). «Le famiglie hanno risparmiat­o di più», ha detto Furman. E difatti il tasso di risparmio è salito al 5,5%, il massimo dalla fine del 2012, dal +4,6% del quarto trimestre. Infine il rafforzame­nto del dollaro ha indebolito i profitti di molte aziende che operano in Europa e rallentato l’export. Ma ora coi tassi bassi nel medio termine anche il dollaro resterà su livelli al di sopra della parità e probabilme­nte attorno a valori fra l’1,07 e 1,15 contro l’euro.

Gli analisti si aspettano che la Fed di Janet Yellen decida sui tassi a giugno o a settembre

OTTIMISMO Il governo sottolinea che il dato è stato influenzat­o dal duro clima invernale e anche Janet Yellen parla di «fattori transitori»

 ?? AP ?? Tempi incerti.
AP Tempi incerti.

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