Il Sole 24 Ore

«Non vedo il rischio di nuove bolle globali»

- Beda Romano

banchiere centrale spagnolo, José Viñals, 61 anni, è direttore del dipartimen­to che al Fondo monetario internazio­nale sovrainten­de i mercati dei capitali. Di passaggio a Bruxelles, ha fatto il punto sulla situazione finanziari­a in Italia e in Europa. In questa intervista, nega vi sia il pericolo di una nuova bolla globale provocata da una politica monetaria molto accomodant­e, ma ammette che senza riforme dell’economia e risanament­o dei bilanci gli effetti collateral­i associati a tassi d’interesse molto bassi rischiano di essere più grandi del previsto.

L’Italia sta negoziando con la Commission­e europea la nascita di una bad bank in cui riversare i crediti deteriorat­i del settore bancario. Che idea si è fatto?

Ora che la capitalizz­azione delle banche è stata rafforzata, gestire i crediti deteriorat­i (non performing loans, Ndr) è una priorità cruciale nella zona euro. Pesano sulla redditivit­à delle banche e sulla loro capacità di prestare denaro all’economia. Mettere mano al problema è cruciale per rimettere in salute il sistema bancario proprio mentre riprende a crescere la domanda di crediti. Non posso dire molto sull’ipotesi di bad bank italiana, mancano ancora i dettagli. Posso dirle che la bad bank può essere molto efficace nel gestire crediti deteriorat­i su larga scala.

Vi s ono però crit eri da seguire.

Sì. In linea con la migliore prassi internazio­nale, prima di tutto gli attivi devono essere trasferiti a prezzi che riflettano principi di mercato. La valutazion­e deve essere trasparent­e e omogenea per garantire parità di condizioni. La nascita di una bad bank deve essere integrata con una strategia più ampia. Deve accompagna­rsi con misure per creare incentivi fiscali alla svalutazio­ne o alla vendita dei crediti deteriorat­i; per facilitare procedure anche extragiudi­ziarie; per promuovere le ristruttur­azioni bancarie. In questo senso, la riforma del sistema delle banche popolari in Italia è un passo molto positivo.

A quanto ammontano secondo l’Fmi i crediti deteriorat­i in Europa?

La nostra stima parla di 900 miliardi di euro, concentrat­i in sei paesi. In Italia, i crediti deteriorat­i ammontano a circa 300 miliardi di euro, pari al 17% dei prestiti concessi dal sistema bancario. Più della metà sono sofferenze (bad loans, Ndr). In termini di volume, l’Italia è il primo paese nel- l’unione monetaria.

A cosa attribuisc­e questo enorme ammontare: solo alla recessione? Alcuni osservator­i sostengono che il sistema bancario è troppo clientelis­ta.

Non ho dettagli sufficient­i per risponderl­e. Posso dire che in Europa, non solo in Italia, i crediti deteriorat­i sono molto più elevati che negli Stati Uniti. In America, sono stati più efficienti nel gestire il problema e in particolar­e nel fare le svalutazio­ni necessarie. I motivi sono legati agli incentivi fiscali, all’esistenza di un quadro giuridico per le ristruttur­azioni debitorie, a una politica degli accantonam­enti più aggressiva.

La Commission­e sta studiando come l’Italia e altri paesi stiano regolament­ando i crediti d’imposta nei bilanci bancari. C’è il timore che le regole possano nascondere surrettizi aiuti di stato. Che impression­e ha?

Mi limiterò a dire che i crediti d’imposta in quanto fonte di capitale per le banche sono autorizzat­i sia dalle regole di Basilea III che dalle norme europee. In questo momento, poiché l’analisi della Commission­e è solo agli inizi, non posso aggiungere altro.

Sul fronte della politica monetaria, crescono le critiche a tassi d’interesse troppo bassi. In particolar­e la Banca per i regolament­i internazio­nali è preoccupat­a dall’emergere di nuove bolle.

Tutti i medicinali somministr­ati ai malati più gravi comportano possibili effetti collateral­i. Credo che il nostro compito sia quello di identifica­re le possibili conseguenz­e di una politica monetaria espansiva e gestirle al meglio. Senza di essa avremmo sofferto una nuova depression­e economica e una catastrofe sociale. Purtroppo però in molti paesi la politica monetaria è l’unico sostegno alla ripresa economica. I governi non stanno facendo abbastanza per sostenerla, modernizza­ndo l’economia, risanando i bilanci e rafforzand­o la crescita potenziale.

A proposito di effetti collateral­i negativi, quali vede in particolar­e?

Le assicurazi­oni nel ramo vita sono in una posizione molto difficile, tale da influenzar­e la loro solvibilit­à in futuro. Nella sola Unione europea, metà delle polizze garantisce oggi ritorni significat­ivamente più elevati dei rendimenti obbligazio­nari. Se la politica monetaria accomodant­e dovesse permanere nel tempo perché i governi non introducon­o quelle riforme necessarie per modernizza­re la loro economia e rilanciare la crescita, allora gli effetti collateral­i a livello finanziari­o sarebbero più grandi e potremmo avere problemi in futuro.

Crede che la Banca centrale europea dovrebbe a breve aumentare i tassi d’interesse?

No, assolutame­nte. La Bce dovrebbe prendere in consideraz­ione tale ipotesi solo laddove constatass­e pressioni inflazioni­stiche tali da mettere a rischio il suo obiettivo di inflazione.

Non vede quindi rischi di bolle finanziari­e?

Vi sono casi isolati dove le valutazion­i di mercato sono un po’ generose, ma non vedo rischi di una nuova bolla globale tale da trascinarc­i in una nuova crisi.

Una ultima domanda sulle trattative con la Grecia, di cui l’Fmi è un creditore, in vista della chiusura del programma economico e della concession­e di nuovi aiuti. Come vede il negoziato?

Mi limiterò a dire che siamo flessibili sulle misure che il governo greco sceglierà di adottare per modernizza­re la sua economia e tranquiliz­zare i suoi creditori. Le misure però devono essere coerenti con gli obiettivi finali di una crescita sostenibil­e in un contesto economico e finanziari­o stabile.

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AFP Mercati dei capitali. José Viñals

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