Battuta d’arresto temporanea
Un brutto dato. O forse no. Una crescita annualizzata del pil dello 0,2% corrisponde, in termini “europei” - non annualizzati - a un piccolissimo +0,05%. Crescita zero, insomma.
Facile - forse troppo facile - individuare causa e cura. È stato il dollaro forte, che ha frenato le esportazioni e incentivato le importazioni, insieme a qualche altro fattore di disturbo. A questo punto, è la conclusione, la Federal reserve non potrà che rinviare il suo rialzo dei tassi. Il dollaro, termometro immediato delle aspettative sulla politica monetaria, è così calato ai minimi da otto settimane. L’inizio della stretta, previsto per giugno o al più tardi per settembre, appare ora rinviato a data da destinarsi.
In serata, la Fed non ha però mosso ciglio, salvo sottolineare che il primo trimestre è stato condizionato da fattori transitori. Se poi a marzo aveva definito improbabile un rialzo dei tassi ad aprile, ieri non ha ripetuto lo stesso giudizio per giugno, lasciandosi le mani libere. È comprensibile: un singolo dato, per giunta provvisorio, non definisce una tendenza. Come ricorda Michael Gapen di Barclays - sul Pil dell’inverno 2015 - una stagione di crescita lenta almeno dal 2010 - ha inciso il cattivo tempo, lo sciopero dei portuali sulla costa occidentale, il previsto calo degli investimenti legati all’energia, che si pensava si sarebbero ridimensionati, per il calo del greggio, più gradualmente. Non si dimentichi poi che, per quanto molto detta- gliato, il primo dato del Pil può variare in media, in valore assoluto, di 1,2 punti percentuali rispetto a quello definitivo: non sarebbe improbabile ritrovarsi con un dato finale del Pil del primo trimestre dell’1,4% (o anche del - 1%, però...).
La cosa più importante, però, è che nulla lascia pensare che la tendenza di fondo sia in pericolo. La politica monetaria della Federal reserve, secondo molti economisti, può controllare davvero solo i fattori economici monetari, nomi- nali, e tra questi il più importante è il Pil nominale, che comprende sia la produzione di beni e servizi finali che il livello e l’andamento dei prezzi. A lungo, prima della crisi, il Pil nominale americano si è mosso lungo un sentiero molto stabile, pari all’incirca al 5% annuo. Dopo la Grande recessione, non è stato recuperato il terreno perduto ma il trend stabile è stato recuperato, anche se oggi appare più lento.
La crescita media del pil nominale - che comprende la crescita del pil reale e l’inflazione - del dopo crisi è pari al 4% annuo circa: +3,94% il dato preciso sulla base dei dati dellaBea. Al primo trimestre l’incremento era del 3,91%, annuo, decisamente in linea quindi con la tendenza di fondo. Si può discutere - e si discute - se quel 4% medio sia poco o molto, e se la Federal reserve possa o debba fare di più - il deflatore del pil, un indice deiprezzi, ènegativo- maallostato attuale e con l’attuale politica monetaria è forse prematuro pensare aunrinviodellastretta. Ancheperché aumentano il tasso di risparmio e le retribuzioni. La situazione è dunque ancora aperta: nulla permette di escludere un rimbalzo del pil in questo secondo trimestre.
DATI NON DEFINITIVI Il numero è provvisorio e non interrompe la tendenza del Pil nominale. Aumenta un po’ l’incertezza ma la situazione è ancora aperta