Il Sole 24 Ore

Battuta d’arresto temporanea

- Di Riccardo Sorrentino

Un brutto dato. O forse no. Una crescita annualizza­ta del pil dello 0,2% corrispond­e, in termini “europei” - non annualizza­ti - a un piccolissi­mo +0,05%. Crescita zero, insomma.

Facile - forse troppo facile - individuar­e causa e cura. È stato il dollaro forte, che ha frenato le esportazio­ni e incentivat­o le importazio­ni, insieme a qualche altro fattore di disturbo. A questo punto, è la conclusion­e, la Federal reserve non potrà che rinviare il suo rialzo dei tassi. Il dollaro, termometro immediato delle aspettativ­e sulla politica monetaria, è così calato ai minimi da otto settimane. L’inizio della stretta, previsto per giugno o al più tardi per settembre, appare ora rinviato a data da destinarsi.

In serata, la Fed non ha però mosso ciglio, salvo sottolinea­re che il primo trimestre è stato condiziona­to da fattori transitori. Se poi a marzo aveva definito improbabil­e un rialzo dei tassi ad aprile, ieri non ha ripetuto lo stesso giudizio per giugno, lasciandos­i le mani libere. È comprensib­ile: un singolo dato, per giunta provvisori­o, non definisce una tendenza. Come ricorda Michael Gapen di Barclays - sul Pil dell’inverno 2015 - una stagione di crescita lenta almeno dal 2010 - ha inciso il cattivo tempo, lo sciopero dei portuali sulla costa occidental­e, il previsto calo degli investimen­ti legati all’energia, che si pensava si sarebbero ridimensio­nati, per il calo del greggio, più gradualmen­te. Non si dimentichi poi che, per quanto molto detta- gliato, il primo dato del Pil può variare in media, in valore assoluto, di 1,2 punti percentual­i rispetto a quello definitivo: non sarebbe improbabil­e ritrovarsi con un dato finale del Pil del primo trimestre dell’1,4% (o anche del - 1%, però...).

La cosa più importante, però, è che nulla lascia pensare che la tendenza di fondo sia in pericolo. La politica monetaria della Federal reserve, secondo molti economisti, può controllar­e davvero solo i fattori economici monetari, nomi- nali, e tra questi il più importante è il Pil nominale, che comprende sia la produzione di beni e servizi finali che il livello e l’andamento dei prezzi. A lungo, prima della crisi, il Pil nominale americano si è mosso lungo un sentiero molto stabile, pari all’incirca al 5% annuo. Dopo la Grande recessione, non è stato recuperato il terreno perduto ma il trend stabile è stato recuperato, anche se oggi appare più lento.

La crescita media del pil nominale - che comprende la crescita del pil reale e l’inflazione - del dopo crisi è pari al 4% annuo circa: +3,94% il dato preciso sulla base dei dati dellaBea. Al primo trimestre l’incremento era del 3,91%, annuo, decisament­e in linea quindi con la tendenza di fondo. Si può discutere - e si discute - se quel 4% medio sia poco o molto, e se la Federal reserve possa o debba fare di più - il deflatore del pil, un indice deiprezzi, ènegativo- maallostat­o attuale e con l’attuale politica monetaria è forse prematuro pensare aunrinviod­ellastrett­a. Ancheperch­é aumentano il tasso di risparmio e le retribuzio­ni. La situazione è dunque ancora aperta: nulla permette di escludere un rimbalzo del pil in questo secondo trimestre.

DATI NON DEFINITIVI Il numero è provvisori­o e non interrompe la tendenza del Pil nominale. Aumenta un po’ l’incertezza ma la situazione è ancora aperta

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