Il mercato scopre il rischio delle scommesse estreme
Non è facile capire cosa sia successo ieri sui mercati finanziari. Probabilmente una serie di eventi che, in qualche modo concatenati, hanno finito per turbare un universo di investitori che da lunghi mesi sapevano solo comperare dollari (e vendere euro), comprare titoli di Stato della zona euro (e vendicchiare Treasury), comprare azioni europee ed alleggerire quelle di Wall Street. È un po’ come se un idillio che dura da mesi si fosse un poco offuscato: probabilmente nulla di grave, anzi qualcosa di positivo. Perchè quella condizione idilliaca, a ben guardare, con i rendimenti negativi per due terzi dei titoli pubblici d’Eurozona, con l’euro che aveva sfiorato la parità con il dollaro e con gli indici azionari, il Dax di Francoforte in testa, in gran corsa da ottobre, cominciava a mostrare i segni di un’acuta follia.
Ieri, la causa scatenante parrebbe trovarsi nel piccolo aumento dell’inflazione tedesca, che avrebbe spinto le vendite sul Bund e quasi vanificato un’asta di titoli a 5 anni e che avrebbe, infine, fatto decollare l’euro. In seguito, il pessimo dato sul pil Usa (che segnalerebbe un’economia in caduta di oltre e il 2,5% se il forte aumento delle scorte non avesse mitigato la stima preliminare a +0,2%) ha ulteriormente accelerato la caduta del dollaro. Se le vendite arrivate ieri abbiano più il sapore di prese di beneficio o di stop loss (chiusura automatica di posizioni al rialzo) è cosa che appassiona i tecnici dei mercati. Tuttavia è utile notare che il dollaro ha vanificato quasi due mesi di guadagni, così come il Bund decennale, e il Btp è tornato ancora più indietro. Le Borse d’Eurozona hanno solo corretto un rialzo che, tra il 16 ottobre e il 13 aprile, s’è misurato in un vistoso 36%.
S’è velato un idillio, ma s’è pure svelata una pericolosa mistificazione: perché in un mercato, certamente manipolato dagli acquisti della Bce, s’è scoperto che la scarsità di titoli da tempo lamentata dagli operatori andava attribuita soprattutto allo strumentale atteggiamento di molti operatori (banche in primo luogo) che quei titoli non volevano cedere, nella scommessa che i rendimenti, già negativi, potessero scendere ulteriormente. Ieri quei titoli sono finalmente usciti e s’è visto come sia balzato il rendimento del Bund. In ogni caso, s’è (forse) compreso come i rischi del mercato obbligazionario possano essere persino superiori a quelli delle borse, perché le possibilità di un flash crash (caduta repentina come s’era vista sui Treasury Usa a ottobre) sono assai concrete.
Infine, resta da capire come mai, con un dato così brutto del pil Usa che, unito a tutti gli altri deludenti numeri sull’economia americana, avrebbe sconsigliato la Fed dall’aumentare i tassi d’interesse, il rendimento del Treasury sia salito, anziché crollare. E non s’è mosso nemmeno dopo il comunicato del Fomc, dal quale si capisce che la stretta monetaria è ancora molto lontana. Ma gira una voce a New York che la Fed, non sentendosi di alzare i tassi, possa invece decidere di alleggerire un poco il suo enorme attivo dopo tre quantitative easing. Lo scopo è di rendere più ripida la curva dei tassi d’interesse e preparare i mercati ad assorbire meglio un eventuale shock.