Italicum, fiducia ok ma mancano 38 voti
Passa alla Camera la prima delle tre «blindature» con 352 voti a favore e 207 contrari
Matteo Renzi incassa la prima fiducia all’Italicum con 352 sì, 207 contrari e 1 astenuto. Ma ieri non è stato il via libera all’articolo 1 della legge elettorale a fare notizia. Fin dal mattino gli occhi erano puntati sulla minoranza del Pd. Nel Transatlantico di Montecitorio deputati di maggioranza e opposizione aggiornavano di continuo la conta degli «assenti», di coloro che avrebbero potuto disertare la chiama.
La decisione di non votare la fiducia era stata preannunciata già dai leader della principale componente della minoranza, Area riformista, guidata dall’ex segretario Pier Luigi Bersani e dal capogruppo dimissionario Roberto Speranza e condivisa poi anche da Gianni Cuperlo, alla guida di Sinistradem, oltre che dall’ex premier Enrico Letta, da Rosy Bindi e da Guglielmo Epifani. Sulla carta la minoranza poteva contare su quasi un centinaio di voti, alla fine però l’asticella si è fermata a quota 38. Un risultato divenuto prevedibile dopo che nel primo pomeriggio una cinquantina di deputati di Area riformista è uscita allo scoperto con un documento in cui confermavano il loro «sì» alla fiducia.
Ecco perché alla fine il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini può permettersi di definire come «uno strappo contenuto», l’uscita dall’aula di un pezzo del partito.
In pubblico si preferisce mantenere i toni bassi. «Sono soddisfatta, siamo in linea con gli altri voti di fiducia», dice il ministro per le riforme Maria Elena Boschi. Ma nella realtà fredda dei numeri , quella di ieri rappresenta un’indiscutibile vittoria per Matteo Renzi: il quarto miglior risultato di sempre alla Camera sulle 17 fiducie presentate. L’apice era stato raggiunto in occasione dell’insediamento del governo con 378 voti favorevoli ma meglio di ieri era avvenuto solo in altre due occasioni, quando i «sì» raggiunsero quota 354 e 353, risultato praticamente identico a quello ottenuto sull’Italicum. E peraltro va tenuto conto che in questo caso c’è stata anche la defezione a sorpresa di tre deputati di Area popolare, tra cui l’ex capogruppo Nunzia De Girolamo, e il vicesegretario dell’Udc Giuseppe De Mita. Forse per questo il nuovo capogruppo Maurizio Lupi ieri ci ha tenuto a sottolineare che dopo lo «strappo» il ruolo dei centristi nel governo è «decisivo».
Oggi si replica con due voti di fiducia: uno al mattino sull’articolo 2 e l’ultimo nel pomeriggio sull’articolo 3. Il voto finale arriverà invece la prossima settimana e avverrà a scrutinio segreto. C’è chi si dice certo che il numero dei dissidenti salirà. In realtà, potrebbe accadere l’opposto. Almeno se ci atteniamo a quanto registrato in questi giorni: martedì il governo ebbe più voti in occasione dello scrutinio segreto sulle pregiudiziali (385 ) che su quello palese (369).
Uno schema che si potrebbe ripetere anche in occasione del voto finale e che di fatto confermerebbe che in “soccorso” del governo sono arrivati anche voti dall’opposizione. E proprio dall’opposizione, in particolare dal M5s e da Sel ,potrebbe arrivare una scelta più radicale come l’abbandono dell’aula. Si vedrà. Ieri i deputati del partito di Nichi Vendola, che martedì avevano gettato i crisantemi, si sono presentati con il lutto al braccio. Il capogruppo di Fi Renato Brunetta ritiene invece che il voto di ieri sancisca la fine del Pd. «È ufficiale: il Partito democratico non esiste più. Forse esisterà tra qualche settimana o tra qualche mese il partito della nazione, ma il Pd, quello di Bersani, di Epifani, di Enrico Letta, non esiste più».
LE TAPPE SUCCESSIVE Nella giornata di oggi ancora due votazioni di fiducia sugli articoli, voto finale la prossima settimana a scrutinio segreto