Panucci: riportare l’industria al centro delle politiche europee
il piano Juncker per rilanciare gli investimenti, sempre che i 21 miliardi stanziati dalla Commissione europea e dalla Bei si trasformino in 315, da dedicare soprattutto alle infrastrutture. Ma non basta: serve una strategia di lungo periodo basata sulla crescita e sulla politica industriale, una revisione della governance europea, che metta sullo stesso piano la stabilità finanziaria e le riforme strutturali orientate allo sviluppo, dalla ricerca all’ambiente, all’energia. Oltre alla digitalizzazione, sfida cruciale, ma non sufficiente per uscire dalla crisi e per crescere in modo sostenuto.
«Rispetto ad un anno fa, quando nel Consiglio europeo di marzo era stata messa al centro la politica industriale in modo chiaro, il Consiglio dello scorso mese sembra aver perso quell’approccio. Un atteggiamento che ci preoccupa», è il pensiero di Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria. «Era stato fatto un lavoro impor- tante con l’ex vice presidente della Commissione Antonio Tajani sul Rinascimento industriale. Ci auguriamo che questo approccio non venga perso», ha continuato, sottolineando che «gli investimenti sono importanti, ma il piano Juncker non può esaurire la politica industriale, anche perché ha risorse limitate, tra l’altro sottratte al programma Horizon 2020 che mi auguro siano ripristinate, ha complicazioni burocratiche, partirà dal 2016. Invece servono azioni subito, e l’Europa deve rimettere al centro l’industria per dare una spinta alla crescita».
Occasione per approfondire le politiche europee è stata la presentazione del Rapporto Finale 2015 dello Iai, l’Istituto affari internazionali, di cui è presidente Ferdinando Nelli Feroci (vice presidente è l’ex ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni). Occorre una visione europea di lungo periodo per l’Europa e il Global Outlook, presentato dal direttore Andrea Renda, ha suggerito un aggiornamento della strate- gia, un rafforzamento della governance ed un suo riposizionamento, dopo anni di enfasi sull’austerità. Occorre inoltre una politica industriale orientata alla transizione verso l’Internet delle cose, coordinata con politiche di istruzione e investimenti in infrastrutture adeguate per rendere l’Europa più competitiva nei settori del manifatturiero avanzato. «La Germania ha in programma 40 miliardi di investimenti nei prossimi 5 anni, un programma di innovazione tecnologica intelligente per mantenere la leadership in alcuni settori del manifatturiero. Se i tedeschi lo stanno facendo, dobbiamo agire anche noi», ha detto Renda, sottolineando che il programma 4.0 della Commissione in uscita tra poco appare tagliato sul contesto tedesco, e quindi poco adatto per il sistema italiano delle pmi.
«Bisogna rendere il progetto 4.0, elaborato dai tedeschi, un progetto europeo, adatto per l’industria Ue e che tenga conto delle specificità di tutti i paesi. L’Italia è la seconda manifattura europea. In ogni caso, la digitalizzazione è un elemento importante, ma non basta. Per arrivare all’obiettivo del 20% del Pil Ue generato dal manifatturiero serve un complesso di politiche che vanno dalla ricerca, all’impatto energetico, creando un mercato unico dell’energia, alle politiche ambientali», ha spiegato la Panucci. Inoltre ha condiviso con gli altri relatori l’importanza del problema della governance: occorre dare pari dignità al Consiglio competitività rispetto all’Ecofin, cioè va data attenzione non solo alle politiche di bilancio ma anche a quelle di crescita, riportando sul tavolo della Commissione la politica industriale.
Franco Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti, ha messo in evidenza due problemi per la crescita: il primo sono i target annuali del Patto di stabilità, che condizionano programmi a più lunga scadenza. Il secondo è la politica degli aiuti di Stato: «Il divieto è nato per consentire all’Europa di creare un mercato unico e livellare il terreno di gioco. Ma attualmente il terreno non è livellato», ha spiegato Bassanini. Se questo è il loro obiettivo «dovrebbero essere considerati un meccanismo virtuoso, anziché essere vietati».