Cococo, contratti certificati contro la presunzione di subordinazione
Dlgs di riordino dei contratti introduce una presunzione assoluta di subordinazione nei confronti delle collaborazioni “fasulle”. L’obiettivo è contrastare l’abuso dellecococo.Malanormafaunampio ricorso a principi di carattere generale, personalità, continuatività, ripetitività ed eterorganizzazione (con riferimento a tempi e luogo della prestazione) che rischiano di creare incertezza applicativa, aprendo la strada al contenzioso.
Di qui l’opportunità di calibrare meglio la disposizione, ora che il Dlgs è all’esame delle commissioni Lavoro di Camera e Senato. A spingere per un intervento modificativo dell’articolo 47 del provvedimento sono le imprese che propongono di non far scattare la presunzionedisubordinazionealle collaborazioni coordinate e continuative redatte con l’assistenza delle sedi di certificazione previste dalla legge. Il ragionamentoècheconlacertificazionesi verifica che le modalità concrete di collaborazione scelte dalle parti, in una logica di integrazione tra collaboratore e committente, sono compatibili con il lavoro autonomo. Inquestomodo, ilcontratto “certificato” garantisce la genuinità del rapporto di lavoro autonomo, a tutela anche del lavoratore che potrà sempre adire le sedi giudiziarie, rivendicando la subordinazione, ove provasse che le modalità si sono svolte in maniera difforme dallo scritto e certificato.
La soluzione prospettata dalle imprese è sul tavolo dei tecnici del Governo: «È una ipotesi allo studio che avrebbe il pregio di favorire il corretto inquadramento contrattualesindallainstaurazionedelrapporto e prevenire il contenzioso», dice Maurizio Del Conte, professoredidirittodelLavoroallaBocconi di Milano, e consigliere giuridico del premier, Renzi.
E c’ècondivisioneanchetraglialtri esperti contattati dal Sole 24 Ore.
La certificazione dei rapporti di lavoro «è nata con la legge Biagi del 2003 - ricorda Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro alla Sapienza di Roma - e ha la funzione di verificarelaconformitàdelcontratto alla legge». Sono sedi di certificazione le direzioni territoriali del ministero del Lavoro, gli enti bilaterali, i consulenti del lavoro, e anche le università. «Un contratto di collaborazione preventivamente certificato - aggiunge Maresca - darebbe sicurezza ad entrambe le parti perché non farebbe scattare la presunzione di subordinazione prevista dal Dlgs, dando inoltre impulso al buono che c’è nell’attività di certificazione,chestanelcontributoafare contratti migliori».
Anche per Valerio Speziale, ordinario di diritto del Lavoro all’università di Chieti-Pescara, la certificazione «può garantire la certezza deirapportigiuridici.Ecomunquesi tratta di un’eccezione relativa. Lascia quindi sempre al lavoratore la possibilità di contestare il contratto perché lo ritiene subordinato». Del resto «tutte le audizioni sul Dlgs di riordino dei contratti hanno evidenziato criticità nella formulazione dell’articolo 47 - sottolinea il senatore, giuslavorista, Pietro Ichino (Pd) -.Questoperchélenozionidieterorganizzazione e ripetitività lasciano di fatto al giudice carta bianca. Servono quindi robusti correttivi».
La proposta è accolta con interesse dai presidenti delle commissioni lavoro di Camera e Senato, rispettivamente, Cesare Damiano (Pd) e Maurizio Sacconi (Ap) che la prossima settimana saranno impegnati nell’espressione del parere sullo schema di Dlgs di riordino dei contratti (non vincolante per il governo). In particolare Damiano pone una condizione che ritiene imprescindibile: «Sì - afferma - purché la certificazione del rapporto di lavoro avvenga esclusivamente nell’ambito di una rappresentanzabilaterale.Devonoessere sempre coinvolte le rappresentanze di lavoratori e impresa, per evitarechepossaprevalerel’interesse di una sola parte a discapito dell’altra. Sarebbe inaccettabile». Sacconi accoglie con favore la proposta edèconvintocheoccorrainvertire l’onere della prova per le forme autonome, in particolare per le partiteIva: «Nondeveesserel’ispettore dellavoroacontestareunrapporto di lavoro autonomo - dice -. Deve essere il lavoratore a contestare e dimostrare che si tratta di un falso lavoro autonomo».
IN PARLAMENTO Damiano (Pd): registrazione sempre con entrambe le rappresentanze. Sacconi (Ap): spetta al dipendente dimostare la falsa «autonomia»