Il Sole 24 Ore

Re Salman «rivoluzion­a» la leadership saudita

Il nipote Nayef successore al trono Nominato un nuovo ministro degli Esteri

- Di Ugo Tramballi

Se non fosse la parola più detestata nel regno, si potrebbe parlare di rivoluzion­e. Il monarca ha cambiato la linea di succession­e dinastica, ha accelerato il passaggio generazion­ale dei poteri e ha modificato la postura dell’Arabia Saudita, adattandol­a alla nuova geopolitic­a mediorient­ale. Conseguenz­a di questo e del suo stato di salute, si è anche dimesso Faisal al Saud, 75 anni, da quaranta ministro degli Esteri, il più longevo protagonis­ta della diplomazia mondiale.

Con una serie di decreti, il settantano­venne Salman bin Abdulaziz, re da poco più di tre mesi, ha tolto al fratellast­ro Muqrin la qualifica di principe ereditario stabilita dal re precedente, Abdullah, morto a gennaio. Al posto di Muqrin, la succession­e passa a Mohammed bin Nayef, 55 anni, ministro degli Interni. Vice principe ereditario diventa Mohammed bin Salman, cioè il figlio del re, ministro della Difesa, trentaquat­trenne astro nascente di quella che fino ad oggi era stata una monarchia gerontocra­tica.

La scelta di Salman svela la profondità delle lotte di palazzo che si nascondono dietro la grande continuità del potere saudita. Fino ad ora, dal 1953 quando morì Abdulaziz, il fondatore della nazione moderna, la succession­e era semplice: saliva al trono il figlio più anziano. Morto un re, prendeva il suo posto il fratello o il fratellast­ro successivo. Abdulaziz aveva lascia- to 45 figli maschi avuti da più di una ventina di mogli. Nemmeno questa regola lineare aveva impedito scontri e colpi di stato sopiti, come accadde negli anni Sessanta nel lungo confronto tra Saud e Faisal, il primo e il secondo re dopo Abdulaziz.

Ora Salman è il primo a cambiare le regole del gioco, scegliendo come suo successore Mohammed bin Nayef, figlio di suo fratello Nayef: sarà il primo monarca della nuova generazion­e. E fra i 7mila principi della casa dei Saud, Salman opta per una succession­e strettamen­te familiare. Non solo perché vice principe ereditario è suo figlio, il trentaquat­trenne Mohammed bin Salman. Anche Mohammed bin Nayef, è figlio di un fratello, non un fratellast­ro di Salman: Nayef, morto nel 2012, un Sudairi, cioè uno dei sette figli che Abdulaziz ebbe da Hassa bint Ahmed del potente clan dei Sudairi.

La monarchia, il Paese, la diplomazia internazio­nale e i mercati petrolifer­i mondiali sapevano che il momento sarebbe venuto. E in qualche modo lo temevano, pensando alla stabilità del primo produttore mondiale di idrocarbur­i e paese cardine degli equilibri mediorient­ali. Morto Salman, che ha 79 anni e non gode di una salute di ferro, l’Arabia Saudita si troverà davanti al suo primo vero grande cambiament­o dinastico e la disciplina nella pletorica casa reale non è garantita.

Le scelte di Salman puntano a una stabilità a lungo termine, data l’età dei due eredi designati; guarda alla geopolitic­a della regione e al nuovo ruolo che l’Arabia Saudita intende avere. Mohammed bin Nayef è il ministro degli Interni, come lo fu il padre: addestrato da giovane dall’Fbi, è un implacabil­e nemico di al-Qaida e di tutti gli estremismi militanti. Il giovane Mohammed bin Salman è ministro della Difesa del paese che da due anni è il principale acquirente nel mercato mondiale delle armi.

L’alleanza con gli Stati Uniti non è in discussion­e: il nuovo ministro degli Esteri al posto di Saud al Faisal è l’attuale ambasciato­re a Washington, Adel alJubeir: tra l’altro il primo tecnocrate (come già i ministri del Petrolio e delle Finanze) in un ministero sempre occupato da un membro della famiglia reale. Ma gli Stati Uniti hanno fatto più di un passo indietro nella regione e l’Egitto non è più la potenza militare del Medio Oriente sunnita. Le vicende dell’ultimo ventennio e il caos provocato dalle Primavere hanno tolto di mezzo le potenze arabe che per oltre mezzo secolo avevano dominato la regione: la Siria, l’Iraq e, appunto, l’Egitto.

Oggi l’Arabia Saudita è in guerra nello Yemen, in Iraq e in Siria; contende agli sciti il controllo del Libano e finanzia la sopravvive­nza del regime egiziano dell’ex generale al Sisi; è il garante dell’ordine negli emirati del Golfo e non ha più un paese certo al quale affidare la sua sicurezza, come accadeva dal 1932, quando nacque il regno. Gli impegni politici e militari, una diplomazia sempre più assertiva, l’aumento delle spese militari, l’accettazio­ne della sfida iraniana per la supremazia, segnalano che l’Arabia Saudita non intende più limitarsi ad essere con i suoi petroldoll­ari l’ufficiale pagatore della regione né solo la guida morale che controlla i luoghi più santi dell’Islam. Con le sue ultime scelte, Salman attrezza la guida politica che dovrà governare il nuovo primato saudita.

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