Le tv locali sull’Adriatico a rischio di spegnimento
Nel 2017 lo stesso problema ci sarà per le emittenti del Tirreno
fa, ma non si dice. Il termine di legge del 30 aprile 2015 non viene prorogato. Si farà finta di nulla. Da quella data potrebbero essere disattivati gli impianti che trasmettono sulle 76 frequenze dove gli stati confinanti, Croazia e Slovenia in testa, hanno dichiarato interferenze con le loro trasmissioni. Sono a rischio 144 tv locali delle regioni adriatiche.
L’associazione delle tv locali di Confindustria Radio Tv denuncia, inoltre, in una lettera al sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli, come il disegno di legge “europea” in discussione alla Camera rischia di costringere le tv locali «al pagamento di importi insostenibili» a titolo di diritti amministrativi in aggiunta a quelli sul diritto d’uso delle frequenze e, in più, al costo per l’utilizzo dei ponti radio di collegamento delle frequenze.
Sul 30 aprile, si parla di termine non perentorio - ma, allora, perchè è stato prorogato dal 31 dicembre, se non lo è? - e si vocifera di una circolare ministeriale che invita la polizia postale a non disattivare gli impianti dopo la scadenza. Circolare smentita seccamente dal ministero dello Sviluppo: questo non vuol dire che scatteranno le disattivazioni, dal 2 maggio in avanti. Per un semplice motivo: Ministero e Agcom sono inadempienti sui tempi di attuazione di provvedimenti che dovevano essere approvati prima del 30 aprile.
«Il termine è perentorio - sottolinea Marco Rossignoli, presidente di Aeranti-Corallo, associazione di emittenti locali - ma non è stato emanato il decreto ministeriale sui criteri da adottare per le misura compensative a chi rilascia volontariamente una di quelle 76 frequenze. Manca la delibera dell’Agcom che individua le frequenze da assegnare, tramite beauty contest; così come non c’è alcun bando per le graduatorie dei fornitori di contenuti locali che trasmetteranno su quelle frequenze. Ci vorranno mesi e le criticità del settore restano invariate. Non dimentichiamo che 144 tv locali sono un terzo di quelle esistenti. Si rischia una decimazione, senza la possibilità di trasmettere su frequenze alternative, che interesserà circa duemila dipendenti». Si farà finta di nulla, sperando che le nazioni confinanti facciano lo stesso; altrimenti l’Italia rischia d’incappare in una procedura d’infrazione comunitaria.
Oggi c’è il problema dell’area adriatica. Dall’ottobre 2017 vi sarà quello dell’area tirrenica (Liguria, Toscana, Lazio, Sardegna): la Francia metterà all’asta nel luglio di quest’anno le frequenze della banda 700 e partirà, da quella data, con il servizio in banda larga mobile. In quest’area venti frequenze sono “italiane” e venti “francesi”, a livello internazionale,anche se emittenti locali italiane trasmettono su quelle della Francia, “regolarmente” assegnate sotto il governo Berlusconi. I canali della banda 700 (dal 49 al 60 della banda UHF) sono dodici. Nelle regioni tirreniche sono assegnati nove all’Italia e tre alla Francia. Alla televisione, in tali regioni, resteranno disponibili solo 11 canali tv all’Italia sui 28 totali (40 meno i dodici della banda 700). E alcuni canali della banda 700, come il 58, saranno oggetto del beauty contest per le frequenze sulle quali dovranno trasmettere le tv locali.
Le emittenti locali di Confindustria Radio Tv ricordano che nove frequenze della banda 800 sono già state ”sottratte” a favore della banda larga (con indennizzo versato dallo Stato per frequenze assegnate dallo Stato) poi ci sono le 76, sommando quelle delle regioni interessate, per le interferenze (anche qui: indennizzo statale per frequenze assegnate dallo Stato). Ora vi è anche l’onerosità dell’utilizzo delle frequenze: secondo le stime dell’associazione, un operatore di rete della Lombardia, a regime, dovrà versare 130mila euro per i diritti d’uso delle frequenze, 64mila per i diritti amministrativi, più i contributi per i ponti radio, 11.100 euro ad impianto. Per illuminare la regione servono in media circa 50 impianti, per un contributo di 550mila euro, che sommato ai costi precedenti, dà un totale di 749mila euro. Durante l’analogico il massimo era di 17mila e 776 euro. «Sono importi insostenibili per il comparto, i cui ricavi, negli ultimi cinque anni, si sono ridotti del 70%» scrivono le tv locali di Confindustria Radio Tv al Governo.