Il Sole 24 Ore

Industria, quattro passi di rilancio

Difesa dei settori strategici, integrità delle filiere, made in Italy e più tecnologia

- Di Valerio De Molli

Nell'attuale fase storica, dopo l’approccio ispirato alla deregulati­on degli anni 70-80 e al libero mercato degli anni 90, la politica industrial­e sta tornando al centro dell’agenda dei Governi come strumento per reagire alla crisi e per rilanciare il tessuto produttivo. Tra i principali Paesi industrial­izzati, l’Italia non ha ancora definito una strategia organica in grado di ottimizzar­e i vantaggi competitiv­i del proprio sistema industrial­e e rispondere alle sfide competitiv­e.

Il rilancio di una forte e incisiva politica industrial­e deve rappresent­are una priorità per Italia ed Europa. Iniziamo a registrare importanti segnali incoraggia­nti di re-shoring, cioè reinsediam­ento in Italia di capacità produttive, precedente­mente spostate all’estero. I casi di L’Oreal, Lavazza, Whirlpool, Dow Chemical sono alcuni esempi tra i tanti che potremmo citare.

La manifattur­a è una componente fondamenta­le per lo sviluppo: nella Ue-28 genera il 74,7% dell’export, il 63,8% della spesa in R&s e contribuis­ce al 60% della crescita della produttivi­tà. Proprio in Europa è in corso una progressiv­a deindustri­alizzazion­e: tra il 2000 e il 2013, il peso della manifattur­a si è ridotto dal 18,5% al 15,1% del valore aggiunto totale prodotto dalla Ue-28, con un perdita di quasi 10 milioni di posti di lavoro. La Ue si è data l’obiettivo di raggiunger­e il 20% del Pil da manifattur­a entro il 2020: agli attuali livelli di produttivi­tà questo significhe­rebbe avere oltre 840 miliardi di valore aggiunto e 15,5 milioni di nuovi posti di lavoro. Le dinamiche dell’economia del Vecchio Continente sembrano lasciare dubbi sull’effettiva raggiungib­ilità dell’obiettivo.

In tale scenario l’Italia, pur restando la seconda potenza manifattur­iera europea dopo la Germania, ha perso peso specifico in Europa e nel mondo, con una contrazion­e del contributo dell’industria al Pil nazionale dal 21,5% nel 2000 al 15,5% nel 2013 e una perdita di circa 500mila posti di lavoro (oltre l’11% del totale).

A differenza dei nostri principali competitor europei – come Germania, Francia e Regno Unito, che hanno fissato una strategia di lungo termine per rafforzare o ricostruir­e la base industrial­e – l’Italia non pare aver ancora definito un chiaro approccio strategico. Ad esempio, la Germania intende “essere un Paese unito per diventare la potenza economica ed industrial­e di riferiment­o dell’Europa – A strong Germany in a strong Europe”; il Regno Unito punta ad “essere un Paese imprendito­riale, ambizioso, aperto e tollerante, leader mondiale per innovazion­e, istruzione e creatività entro il 2020” e gli Usa intendono “essere la potenza leader nel mondo basata sulla capacità di dare a tutti il sogno americano”.

A monte, l’Italia deve definire una visionePae­se il più possibile inclusiva, unificante e in grado di “fertilizza­re” il maggior numero di settori, indicando una direzione di lungo periodo per il proprio sistema economico-produttivo. La nostra proposta di visione per l’Italia è “essere il Paese di riferiment­o nello sviluppo delle eccellenze per fare vivere meglio il mondo”. Da tale visione devono discendere obiettivi strategici a 5-7 anni che devono servire a misurare la bontà degli interventi ed essere coerenti con i punti di forza del Paese: tessuto industrial­e diffuso, ricerca scientific­a di alto livello e patrimonio artistico, ambientale e culturale unico al mondo.

Una politica industrial­e efficace deve puntare a fare evolvere il modello industrial­e in funzione delle sfide attuali dell’economia globale anche adottando un mix coerente di misure di carattere trasversal­e e “verticali” di settore. Pure alla luce del confronto con gli industrial­i del nostro Paese riuniti all’interno di Ambrosetti Club, riteniamo che le quattro priorità per la politica industrial­e italiana debbano essere: e difendere i settori industrial­i strategici per il Paese (da individuar­e con criteri quali peso relativo nella produzione nazionale, quota di mercato all’estero e qualità dell’occupazion­e e attivazion­e per l’indotto); r integrare industria e servizi (il cosiddetto manu-service) e preservare l’integrità delle filiere industrial­i, nella consideraz­ione che la creazione di valore si attiva in misura crescente soprattutt­o nelle fasi/attività a monte e a valle della produzione; t mantenere la leadership del Made in Italy nell’alto di gamma, ma estendere la specializz­azione produttiva per tutti i prodotti e servizi indirizzat­i alla crescente classe media globale, la cui capacità di spesa arriverà al 2030 (fonte Ocse) ad oltre 56 trilioni di dollari; tre volte i valori attuali;

Il rilancio di una forte ed incisiva politica industrial­e deve rappresent­are una priorità per l’Italia e per l’Europa u portare le tecnologie di frontiera nei settori tradiziona­li dell’industria e valorizzar­e le Pmi innovatric­i (a partire da quelle operanti nei settori strategici di cui sopra).

Gli obiettivi di medio/lungo termine di una nuova politica industrial­e potrebbero essere:

- tornare al 4% della quota di mercato globale dell’export manifattur­iero (oggi il 2,75%);

- raggiunger­e la Germania per quota di occupazion­e collegata ai servizi attivata dal manifattur­iero (52% rispetto all’attuale 37%);

- raggiunger­e il 15% di quota di mercato globale nell’alto di gamma da parte del Made in Italy (rispetto all’8% attuale);

- superare il 10% del valore aggiunto manifattur­iero da settori high-tech (rispetto al 7,4% attuale) e arrivare al 10% del Pil.

Il raggiungim­ento di questi obiettivi ambiziosi dipende in larga parte anche dal migliorame­nto delle condizioni di contesto-Paese per garantire le basi per un tessuto industrial­e “sano”. Per questo sei interventi appaiono particolar­mente urgenti: -ridare efficienza al sistema della giustizia; -ridurre la pressione fiscale sulle imprese (tra le più alte nel mondo);

-migliorare la capacità di trasferime­nto tecnologic­o; -ridurre il peso della burocrazia; -ridurre il costo dell’energia; -aggiornare le competenze della forza lavoro, anche in chiave digitale.

L’impegno del Governo in carica, testimonia­to dal varo di task-force sull’Industrial Compact e da diversi interventi in tema di innovazion­e, patrimonia­lizzazione delle imprese e sostegno alla internazio­nalizzazio­ne, costituisc­e un importante segnale di cambiament­o. Per realizzare concretame­nte una politica industrial­e in Italia occorre, tuttavia, una più forte mobilitazi­one di tutte le componenti del Paese: le istituzion­i ai vari livelli territoria­li, associazio­ni industrial­i, università, parti sociali, capi azienda e imprendito­ri dell’industria e della finanza. L’istituzion­e di una “Giornata nazionale dell’imprendito­re”, come fatto ad esempio in Francia, che riunisca tutti questi stakeholde­r, può aiutare a posizionar­e l’industria e gli imprendito­ri al centro di un grande progetto comune del Paese, individuan­do una politica industrial­e per l’Italia e di anno in anno discuterne e concertarn­e i temi importanti, facendo leva sulle (spesso poco conosciute) esperienze di successo e coinvolgen­do le nuove generazion­i e i talenti emergenti.

IL MODELLO FRANCESE Creare la «Giornata nazionale dell’imprendito­re» nella quale aziende, università e parti sociali individuin­o scelte strategich­e, coinvolgen­do le nuove generazion­i

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IMAGOECONO­MICA Da dove ripartire.

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