Il Sole 24 Ore

Trasferime­nto di risorse, non riduzione di imposte

- Di Pietro Reichlin

Il bonus degli 80 euro ai lavoratori dipendenti è un trasferime­nto o una riduzione delle imposte? Secondo il governo vale la seconda interpreta­zione, anche se la prima sarebbe più corretta in base ai criteri di classifica­zione vigenti. Si potrebbe dire che la questione sia di scarso interesse: ciò che conta sono i soldi netti in tasca ai contribuen­ti. Tuttavia, resta qualche dubbio da dissipare. Innanzitut­to, se è vero che si è creata confusione su un tema così importante come quello della pressione fiscale effettiva, è difficile comprender­e perché il governo abbia deciso la strada del bonus. Un’alternativ­a era rimodulare il profilo delle detrazioni per lavoro dipendente, come avevamo suggerito in altra sede (cf. Borri, Nisticò, Ragusa e Reichlin su La Voce Info, 11-02-2014), che determina aliquote marginali effet- tive elevate appena sopra la no-tax area, ma altre strade sul versante della riforma dell'imposizion­e erano possibili.

Non è questione di lana caprina. Una delle ragioni per cui lo Stato italiano ha un cattivo rapporto con il cittadino-contribuen­te è che i patti non sono chiari e, soprattutt­o, non sono stabili nel tempo. Se il governo lascia più soldi in tasca ai contribuen­ti per effetto di un trasferime­nto unilateral­e non connesso al “patto fiscale”, è più difficile credere che si tratti di una decisione vincolante valida per il futuro. Un trasferime­nto “estemporan­eo” crea incertezza, anche perché non ha solide motivazion­i. Perché un bonus solo ai lavoratori dipendenti sotto una determinat­a soglia di reddito? Se si tratta di contrasto alla povertà, non dovrebbe essere esteso ai pensionati o ai lavoratori autonomi, o agli incapienti? E se si decidesse di estenderlo a una platea più ampia di cittadini, non si porrebbe il problema di come trovare le risorse per finanziarl­o? Non sarebbe forse necessario ridurne l'importo?

L’imposizion­e implicita sul lavoro (gettito effettivo sui redditi da lavoro in rapporto alla loro consistenz­a) in Italia è ampiamente sopra la media europea, mentre l'imposizion­e implicita sui consumi è relativame­nte modesta. Più vol-

A CURA DI te le autorità internazio­nali (Europa, Fmi, ecc.) hanno chiesto all'Italia di adottare misure utili a ridurre la pressione fiscale sul lavoro e imprese e allargare la base imponibile.

Se il governo avesse impiegato le risorse del bonus per rivedere il profilo delle detrazioni, avrebbe raggiunto due obiettivi importanti.

Per prima cosa, non ci sarebbero stati dubbi sul fatto che è impegnato seriamente sul fronte della riduzione della pressione fiscale sul lavoro, invece che su quello dell'aumento delle spese.

In secondo luogo, poteva giustifica­re meglio la misura, dipingendo­la come ciò che effettivam­ente è: un primo passo verso la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro dipendente, cioè un provvedime­nto a favore dell’equità (perché concentrat­o sui lavoratori poveri), ma an- che della crescita, perché utile ad aumentare l’offerta e la domanda di lavoro. Questa giustifica­zione implichere­bbe che il provvedime­nto non deve essere classifica­to nel novero delle misure che fanno parte del welfare, e neanche essere inteso come una manovra congiuntur­ale, cioè finalizzat­a a stimolare la domanda e, quindi, un passaggio legislativ­o limitato alla fase recessiva.

Un messaggio chiaro in favore di un fisco più leggero, meglio se accompagna­to dall’impegno a non riformare il sistema impositivo per un tempo ragionevol­mente lungo, consentire­bbe a imprese e lavoratori di stimare il reddito futuro e programmar­e le proprie scelte con maggiore sicurezza. Il dilemma interpreta­tivo sulla natura del bonus non è solo di natura contabile.

DILEMMA L’interpreta­zione del recente provvedime­nto non è solo di natura contabile. E riguarda il rapporto che lo Stato italiano mantiene verso i suoi cittadini

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