La ricerca passepartout per restare competitivi
Qualcosa sta finalmente muovendosi in quell’area opaca che prende il nome di “politica industriale”. Un'area che va riscoperta senza le ideologie “mercatiste” del passato (neologismo Tremontiano). Un'area in cui il ruolo dello Stato non si esaurisce nelle note “politiche orizzontali di riforma” (infrastrutture, scuola, fisco e crediti d'imposta sulla R&S privata, burocrazia, giustizia ecc.) , ma affronta seriamente anche le sfide di una moderna politica economica per la crescita e la competitività. Sfide che, semplificando al massimo, possiamo raggruppare nelle quattro seguenti. e Robusta, crescente e coerente promozione pubblica della ricerca scientifica (l'industria del sapere, knowledge driven), fortemente agganciata ai programmi europei di Horizon 2020 dotati di un budget di €80 mdi in 7 anni. Il nostro Piano Nazionale per la Ricerca 2014-2020, di imminente gestazione al Miur (Pnr, da non confondere col rituale Programma Nazionale di Riforme annesso al Def 2015), sembra ben orientato in questa direzione. Purtroppo, coordinare risorse assegnate a 7 diversi Fondi facenti capo a 8 ministeri (due terzi al Miur) e 20 amministrazioni regionali richiederà sforzi eroici e prove di rara autorevolezza agli organi vigilanti, a partire dal previsto Comitato Guida. r Trasferimento (valorizzazione) del medesimo sapere scientifico-tecnologico verso le imprese manifatturiere e di servizi, spesso dotate di originaria capacità imprenditoriale ma che, per limiti dimensionali e culturali, vanno aiutate a scoprire (discovery) le potenzialità di crescita dimensionale e tecnologica che originano dalle nuove conoscenze (technology driven). Potenzialità il cui sfruttamento è assolutamente necessario per competere con sistemi-paese sempre più dinamici e aggressivi sui mercati globali. Una competizione autentica e lungimirante, che rifiuta la “corsa verso il basso” nei nostri standard sociali e del lavoro come risposta ai bassi salari dei mercati emergenti, da cui una pericolosa caduta nelle aspettative di crescita civile ed economica dei nostri giovani. Sarà una bella sfida portare i 22 enti pubblici di ricerca, di cui 12 vigilati dal Miur (Cnr in primis) e altri 10 vigilati da altri tre ministeri (Sanità, Sviluppo, Ambiente), a rifocalizzare i propri ricercatori su una missione che deve necessariamente intrecciare qualità della ricerca scientifica e gusto per l’innovazione industriale, spesso in partnership pubblico-privata, sulla scia di esperienze concrete come la Fraunhofer Gesellschaft tedesca, il Tno olandese e altri ancora. t Rilancio, dopo la fallita esperienza di Industria 2015, di pochi grandi progetti di ricerca precompetitiva, aggreganti imprese grandi-medie-piccole lungo filiere settorialmente trasversali di sfruttamento delle nuove “tecnologie abilitanti” in cui diverse aree industriali italiane già oggi si qualificano per alta propensione innovativa ed eccellenza competitiva, frenata solo dalla ridotta dimensione aziendale (dalla meccatronica alla chimica verde, dalla componenti s t i c a e l e t t r omeccanica al biomedicale, e altre ancora. Anche per orientare le scelte di localizzazione degli investitori internazionali, serve all'Italia una “visione” del futuro su cui vuole puntare. u Sostegno finanziario e organizzativo ad una efficiente gestione dei numerosi casi di passaggio generazionale, con o senza intervento di capitali esteri, nonché delle ricorrenti crisi aziendali (Ilva e dintorni), che richiedono un sostenibile rilancio (turnaround) di produzione e occupazione qualificata.
Su tutti e quattro gli obiettivi sarà necessario un ruolo attivo di Palazzo Chigi (“cambiare verso”?).
Per raggiungere il terzo e quarto obiettivo di questa nuova politica industriale dovremmo disporre di nuove strumentazioni, che rientrano nel perimetro sia della potente Cassa Depositi e Prestiti (di fatto la nostra “banca per lo sviluppo” simile anche se non identica alle spesso citate consorelle europee (Kfw tedesca, Cdp francese), sia del futuro Fondo di turnaround, Spa che dovrebbe essere largamente controllata dalle banche, con partecipazione minoritaria della nostra Cdp.
La stessa Confindustria (Nota del Csc del 7 marzo 2015, riecheggiando il rapporto congiunto Ocse- Banca Mondiale “Making Innovation Policy Work. Learning from Experimentation”), auspica “una politica industriale in cui lo Stato sia catalizzatore degli sforzi pubblici e privati” facendo “affluire risorse pubbliche e private per il finanziamento di grandi progetti di innovazione industriale, in un’ottica di ripartizione efficiente del rischio”, sempre accompagnata (punto dolente!) da attento monitoraggio e valutazione continua dei progetti stessi.