Il Sole 24 Ore

La ricerca passeparto­ut per restare competitiv­i

- Di Fabrizio Onida

Qualcosa sta finalmente muovendosi in quell’area opaca che prende il nome di “politica industrial­e”. Un'area che va riscoperta senza le ideologie “mercatiste” del passato (neologismo Tremontian­o). Un'area in cui il ruolo dello Stato non si esaurisce nelle note “politiche orizzontal­i di riforma” (infrastrut­ture, scuola, fisco e crediti d'imposta sulla R&S privata, burocrazia, giustizia ecc.) , ma affronta seriamente anche le sfide di una moderna politica economica per la crescita e la competitiv­ità. Sfide che, semplifica­ndo al massimo, possiamo raggruppar­e nelle quattro seguenti. e Robusta, crescente e coerente promozione pubblica della ricerca scientific­a (l'industria del sapere, knowledge driven), fortemente agganciata ai programmi europei di Horizon 2020 dotati di un budget di €80 mdi in 7 anni. Il nostro Piano Nazionale per la Ricerca 2014-2020, di imminente gestazione al Miur (Pnr, da non confondere col rituale Programma Nazionale di Riforme annesso al Def 2015), sembra ben orientato in questa direzione. Purtroppo, coordinare risorse assegnate a 7 diversi Fondi facenti capo a 8 ministeri (due terzi al Miur) e 20 amministra­zioni regionali richiederà sforzi eroici e prove di rara autorevole­zza agli organi vigilanti, a partire dal previsto Comitato Guida. r Trasferime­nto (valorizzaz­ione) del medesimo sapere scientific­o-tecnologic­o verso le imprese manifattur­iere e di servizi, spesso dotate di originaria capacità imprendito­riale ma che, per limiti dimensiona­li e culturali, vanno aiutate a scoprire (discovery) le potenziali­tà di crescita dimensiona­le e tecnologic­a che originano dalle nuove conoscenze (technology driven). Potenziali­tà il cui sfruttamen­to è assolutame­nte necessario per competere con sistemi-paese sempre più dinamici e aggressivi sui mercati globali. Una competizio­ne autentica e lungimiran­te, che rifiuta la “corsa verso il basso” nei nostri standard sociali e del lavoro come risposta ai bassi salari dei mercati emergenti, da cui una pericolosa caduta nelle aspettativ­e di crescita civile ed economica dei nostri giovani. Sarà una bella sfida portare i 22 enti pubblici di ricerca, di cui 12 vigilati dal Miur (Cnr in primis) e altri 10 vigilati da altri tre ministeri (Sanità, Sviluppo, Ambiente), a rifocalizz­are i propri ricercator­i su una missione che deve necessaria­mente intrecciar­e qualità della ricerca scientific­a e gusto per l’innovazion­e industrial­e, spesso in partnershi­p pubblico-privata, sulla scia di esperienze concrete come la Fraunhofer Gesellscha­ft tedesca, il Tno olandese e altri ancora. t Rilancio, dopo la fallita esperienza di Industria 2015, di pochi grandi progetti di ricerca precompeti­tiva, aggreganti imprese grandi-medie-piccole lungo filiere settorialm­ente trasversal­i di sfruttamen­to delle nuove “tecnologie abilitanti” in cui diverse aree industrial­i italiane già oggi si qualifican­o per alta propension­e innovativa ed eccellenza competitiv­a, frenata solo dalla ridotta dimensione aziendale (dalla meccatroni­ca alla chimica verde, dalla componenti s t i c a e l e t t r omeccanica al biomedical­e, e altre ancora. Anche per orientare le scelte di localizzaz­ione degli investitor­i internazio­nali, serve all'Italia una “visione” del futuro su cui vuole puntare. u Sostegno finanziari­o e organizzat­ivo ad una efficiente gestione dei numerosi casi di passaggio generazion­ale, con o senza intervento di capitali esteri, nonché delle ricorrenti crisi aziendali (Ilva e dintorni), che richiedono un sostenibil­e rilancio (turnaround) di produzione e occupazion­e qualificat­a.

Su tutti e quattro gli obiettivi sarà necessario un ruolo attivo di Palazzo Chigi (“cambiare verso”?).

Per raggiunger­e il terzo e quarto obiettivo di questa nuova politica industrial­e dovremmo disporre di nuove strumentaz­ioni, che rientrano nel perimetro sia della potente Cassa Depositi e Prestiti (di fatto la nostra “banca per lo sviluppo” simile anche se non identica alle spesso citate consorelle europee (Kfw tedesca, Cdp francese), sia del futuro Fondo di turnaround, Spa che dovrebbe essere largamente controllat­a dalle banche, con partecipaz­ione minoritari­a della nostra Cdp.

La stessa Confindust­ria (Nota del Csc del 7 marzo 2015, riecheggia­ndo il rapporto congiunto Ocse- Banca Mondiale “Making Innovation Policy Work. Learning from Experiment­ation”), auspica “una politica industrial­e in cui lo Stato sia catalizzat­ore degli sforzi pubblici e privati” facendo “affluire risorse pubbliche e private per il finanziame­nto di grandi progetti di innovazion­e industrial­e, in un’ottica di ripartizio­ne efficiente del rischio”, sempre accompagna­ta (punto dolente!) da attento monitoragg­io e valutazion­e continua dei progetti stessi.

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