Il Sole 24 Ore

Beni a valore normale se da paesi collaborat­ivi

- Giacomo Albano Luca Miele

valore fiscalment­e riconosciu­to delle attività e passività della società che si trasferisc­e dall’estero in Italia è pari al valore normale delle stesse.

Lo schema di decreto legislativ­o del 21 aprile 2015 di attuazione della delega fiscale interviene espressame­nte, per la prima volta, a regolare il trasferime­nto della residenza dall’estero nel nostro paese per i soggetti che esercitano imprese commercial­i.

L’articolo 12 del provvedime­nto introduce l’articolo 166-bis nel Tuir per stabilire quale valore fiscale attribuire ai beni – attività e passività - della società “entrante” nel nostro Paese; beni che, in quel momento, non hanno ancora alcun valore riconosciu­to nel nostro ordinament­o.

I «vecchi» criteri di valutazion­e

Sino ad oggi, sostanzial­mente, si sono contrappos­te due tesi: e il valore fiscale di immissione dei beni nella sfera d’impresa dello Stato italiano è rappresent­ato dal costo storico di acquisto del bene; r il valore è quello corrente, determinat­o con le regole del Tuir, che i beni possiedono all’atto dell’ingresso nella sfera d’impresa del nostro Paese.

Una terza tesi, minoritari­a, è quella dell’entrata del bene al valore utilizzato dallo Stato estero per la determinaz­ione dell’exit tax, non necessaria­mente coincident­e con il valore normale previsto dall’articolo 9 del Tuir (cosiddetto “step up”).

In assenza di una previsione di legge, nella prassi amministra­tiva, a seguito di alcune pronunce dell’agenzia delle Entrate (risoluzion­e del 5 agosto 2008, n. 345), si era pervenuti, in sintesi, alle seguenti conclusion­i: 1 il valore iniziale coincide con il costo originario laddove vi sia continuità giuridica ai fini civilistic­i; 1 la presa in carico dei beni nel nostro ordinament­o deve avvenire al valore normale laddove nello Stato estero il trasferime­nto dia luogo a una tassazione in uscita sui plusvalori latenti fino al momento del trasferime­nto (exit tax), al fine di evitare fenomeni di doppia tassazione.

I nuovi criteri di valutazion­e

Lo schema di provvedime­nto prevede, come criterio generale, il riconoscim­ento al valore normale alla data di ingresso in Italia delle attività e passività trasferite, anche in assenza dell’applicazio­ne di una tassazione in uscita nello Stato estero, a condizione che il trasferime­nto avvenga da Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazio­ni. Si tratta degli Stati inclusi nella lista di cui all’articolo 11, comma 4, lettera c) del decreto legislativ­o 239/1996.

Se il trasferime­nto in Italia avviene, invece, da Paesi diversi da quelli “collaborat­ivi” il criterio resta quello del valore normale soltanto se fissato preventiva­mente mediante un accordo con l’agenzia delle Entrate stipulato ai sensi del nuovo articolo 31- ter del Dpr 600/1973.

In assenza di tale accordo, il valore fiscale è pari, per le attività, al minore tra costo di acquisto, valore di bilancio e valore normale, e al maggiore tra questi per le passività.

In sostanza, in mancanza di un accordo preventivo la disciplina prevede un trattament­o più penalizzan­te.

Sono demandate a un provvedime­nto del direttore dell’agenzia delle Entrate le modalità di segnalazio­ne dei valori delle attività e delle passività oggetto di trasferime­nto.

La scelta del valore normale come criterio generale, adottata dal provvedime­nto, è una soluzione che ben si inquadra all’interno del “pacchetto” di norme che tende a rendere più attrattivo il nostro paese per i soggetti esteri e che, dal punto di vista dei principi generali, risponde a un principio cardine sottostant­e il reddito d’impresa in base al quale vanno assoggetta­ti ad imposizion­e tutti i plusvalori maturati in tale regime e non anche quelli maturati al di fuori di esso, laddove per plusvalori conseguiti al di fuori della sfera d’impresa devono intendersi non solo quelli maturati in capo al soggetto non imprendito­re ma anche al di fuori del territorio italiano (seppure in regime d’impresa).

In sostanza, si tassano in Italia solo i plusvalori ivi maturati e non anche quelli maturati all’estero e qui “importati”.

Questa soluzione era stata già accolta anche dal Consiglio nazionale del notariato (studio n. 152-2008/T) che, per confutare l’obiezione per cui se lo Stato estero non prevede una exit tax si avrebbe un salto d’imposta, afferma che in ogni caso non possono essere tassati in Italia plusvalori maturati nello Stato estero «sui quali sarà lo Stato di provenienz­a ad esercitare la propria potestà impositiva, anche rinunciand­ovi».

Inoltre, va osservato che se lo Stato estero riconosce “in uscita” le minusvalen­ze relative ai beni ed è adottato il criterio del costo storico, si determiner­ebbe un fenomeno di doppia deduzione delle minusvalen­ze, diversamen­te da quanto avviene adottando il valore normale.

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