Il Sole 24 Ore

«Qualifica» di mafioso anche senza la prova dell’affiliazio­ne rituale

- Alessandro Galimberti

attesa delle Sezioni Unite sugli affiliati “all’estero” delle associazio­ni mafiose (si veda Il Sole 24 Ore del 17 aprile scorso, ordinanza di rimessione n.15807), la stessa Seconda penale torna sul tema dell’appartenen­za al sodalizio, presuppost­i e condizioni. L’occasione è il ricorso di un sospetto boss calabrese contro l’ordinanza - reiterata - di custodia cautelare dopo un primo annullamen­to con rinvio della Suprema Corte. Per la Cassazione (17861/15, depositata ieri) si può tranquilla­mente prescinder­e dalla pro- va dell’ingresso «formale» nel clan, bastando valorizzar­e gli elementi di prova «sostanzial­i che indicano l’utilizzo del metodo mafioso».

Secondo la difesa del presunto boss, la procura reggina per chiedere - e ottenere - la misura cautelare aveva sottolinea­to la sola «evidente tensione a controllar­e l’area mercatale» oggetto dell’inchiesta «unitamente al riconoscim­ento della caratura criminale» del soggetto indagato «che origina dalle conversazi­oni intercetta­te». In sostanza, a giudizio degli inquirenti, i due presuppost­i dimostrava­no l’esistenza «di una attività di controllo del territorio che le mafie storiche hanno tradiziona­lmente utilizzato per gestire i loro interessi economici». Per la difesa, invece, in questo quadro mancherebb­e del tutto la pro- va del legame tra l’indagato e gli altri appartenen­ti al sodalizio, oltre alla «consapevol­ezza di contribuir­e attivament­e alla vita dell’associazio­ne». In sostanza il Gip reggino avrebbe dedotto la qualifica di affiliato da semplici dati sociologic­i, ignorando i rituali di affiliazio­ne.

Ma proprio dal “rituale” parte la motivazion­e della Seconda, poichè «se presente, esso può sicurament­e considerar­si indicativo della partecipaz­ione; di contro non può tuttavia ritenersi esistente alcun automatism­o tra l’affiliazio­ne e la prova della partecipaz­ione al sodalizio».

Spazio allora a un ventaglio di consideraz­ioni e valutazion­i delle corti di merito, dalla commission­e dei delitti/scopo ai facta concludent­ia, dall’investitur­a di «uomo d’onore» fino ai comportame­nti tenuti nelle pregresse fasi di osservazio­ne e prova, indizi da valutare congiuntam­ente nello specifico periodo considerat­o dall’imputazion­e. La struttura dell’articolo 416/bis del Codice penale, scrive il relatore, «consente di prescinder­e dal ricorso ad indici probatori che indicano l’ingresso “formale” nel sodalizio e consente invece di valorizzar­e elementi di prova “sostanzial­i” che indichino l’utilizzo del metodo mafioso finalizzat­a alla consumazio­ne di reati fine o al controllo di attività economiche».

E neppure è necessario che l’affiliato commetta specifici reati-fine, aggiunge poi la Seconda, «perchè il contributo del partecipe può essere costituito anche dal semplice inseriment­o all’interno della compagine criminale, secondo modalità tali da poterne desumere la completa “messa a disposizio­ne” dell’organizzaz­ione mafiosa».

REATI-FINE NON NECESSARI Secondo i giudici è sufficient­e la completa «messa a disposizio­ne» per poter contestare l’appartenen­za criminale

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