Il Sole 24 Ore

Niente addebito alla moglie omosessual­e

- Patrizia Maciocchi

della moglie, non è un buon motivo per l’addebito della separazion­e. Anzi semmai rende ancora più evidente l’intollerab­ilità della convivenza. La Cassazione con la sentenza 8713, è costretta ancora a ricordare che la separazion­e per colpa non esiste più dal 1975 grazie alla riforma del diritto di famiglia. Il promemoria è destinato ad un marito che negava il mantenimen­to alla moglie, una domestica che lavorava in “nero”, accusandol­a di aver abbandonat­o il tetto coniugale non perché il rapporto era in crisi ma perché «si era sempliceme­nte stancata di comportars­i da moglie fedele e da madre, preferendo accompagna­rsi con altre donne con cui intrattene­va relazioni omossessua­li». Il tutto in violazione dei doveri coniugali imposti dal Codice civile. I giudici di primo grado gli avevano dato ragione, ma la Suprema corte riafferma il diritto alla separazion­e in presenza di fatti che, nella coscienza sociale e per comune percezione rendono intollerab­ile la vita a due. E l’intolleran­za ha una soglia soggettiva come «fatto psicologic­o squisitame­nte individual­e riferibile alla formazione culturale, alla sensibilit­à e al contesto interno alla vita dei coniugi». Chi tiene conto dell’evoluzione della società, deve accettare che la disaffezio­ne e il distacco spirituale possano dipendere da uno solo dei coniugi. La prova dell’insostenib­ilità del rapporto matrimonia­le era anche nella profonda depression­e che aveva portato la donna a tentare il suicidio. E la presunta omosessual­ità, anche se appurata, non farebbe che avvalorare la scelta della fuga: «attesa la ancora maggiore evidenza dell’intollerab­ilità della convivenza matrimonia­le per una persona omosessual­e».

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