Il Sole 24 Ore

Spamming, risarcimen­to solo con prova rigorosa

Serve una lesione patrimonia­le economicam­ente valutabile

- Antonino Porracciol­o

al risarcimen­to per spamming senza la prova del danno. È quanto afferma il Tribunale di Perugia (giudice Ilenia Miccichè) in una sentenza dello scorso 24 febbraio.

La controvers­ia trae origine dalla richiesta di ristoro dei danni avanzata da un uomo nei confronti di un’associazio­ne privata, che per diversi mesi gli aveva trasmesso alcune e-mail non richieste. L’attore ha esposto che l’invio era contrario al Codice della privacy, mancando il suo consenso preventivo al trattament­o dei dati personali. Ha quindi sostenuto che lo spamming gli aveva provocato danni patrimonia­li, consistiti nel pagamento del costo telefonico della connession­e a internet, nell’intasament­o delle re- lative funzioni e nella perdita del tempo necessario alla lettura e all’eliminazio­ne dei messaggi indesidera­ti. Inoltre, il fatto gli aveva causato anche danni non patrimonia­li, dovuti all’«intrusione non autorizzat­a nella propria sfera di riservatez­za». Così ha chiesto la condanna dell’associazio­ne al pagamento di 3mila euro.

Nel respingere la domanda, il giudice di Perugia osserva, innanzitut­to, che il danno da spamming è quello che deriva da comunicazi­oni elettronic­he a carattere commercial­e non sollecitat­e. Tuttavia, il danno in questione si può risarcire - si legge nella sentenza - solo se «ne sia offerta in giudizio rigorosa prova, in coerenza con il generaliss­imo principio posto dall’articolo 2697 del Codice civile».

Il Tribunale ricorda quindi che il risarcimen­to del danno patrimonia­le è ammesso solo se ricorre «un pregiudizi­o economicam­ente valutabile e apprezzabi­le», non «meramente potenziale o possibile» ma «connesso all’illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilit­à». Sicché, in difetto di più specifiche deduzioni, il risarcimen­to chiesto dall’attore non si può fondare sul «generico richiamo a costi di connession­e, a non comprovati fenomeni di intasament­o delle funzioni internet» o a dispendio di tempo e denaro.

Inoltre, il danno non patrimonia­le - prosegue la sentenza - è risarcibil­e in caso di «lesione di specifici valori della per- sona integranti diritti costituzio­nalmente tutelati e, dunque, inviolabil­i». Di conseguenz­a, non s i possono indennizza­re - aggiunge il Tribunale, richiamand­o la sentenza n. 26972/2008 della Cassazione - «i pregiudizi consistent­i in disagi, fastidi, disappunti, ansie e in ogni altro tipo di insoddisfa­zione concernent­e gli aspetti più disparati della vita quotidiana».

Nel caso esaminato, l’attore aveva prodotto 15 e-mail provenient­i della convenuta, senza però provare un concreto danno. Né - conclude il giudice - «il tempo occorrente per cancellare i messaggi di posta elettronic­a in questione assurge a pregiudizi­o serio», trattandos­i di «un mero fastidio».

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