Fiducia, la magica invocazione dei «precedenti»
Se ci fosse l’abitudine di aggiornare i proverbi, togliendoli dalla muffa della saggezza popolare, converrebbe ricordare ai governi nazionali degli ultimi decenni che chi, tra di loro, è senza fiducia, può ben scagliare la prima pietra. Oppure, per un altro aggiornamento istituzionale, che “la strada dei governi (per restare in sella), è lastri- cata di tante fiducie”.
Proverbi a parte, si sta arroventando la polemica sulla legittimità della posizione di fiducia sui testi di legge in ma- teria elettorale, ed il confronto si svolge, a quanto pare obbligatoriamente, sul filo degli argomenti di carattere costituzionale. Al termine del confronto, tutto si sopisce alla vista dei mitici e sopravvalutati “precedenti”, davanti ai quali le polemiche normalmente si attenuano.
Ma cosa hanno di magico questi precedenti parlamentari, da zittire gli strasicuri e sedare i dubbiosi? Almeno fi- no a poco tempo fa - nel caso vi siano state non pubblicizzate evoluzioni in senso democratico della prassi al riguardo - il precedente, riproducendo lo scontro del giorno e dandovi una soluzione predatata, considerava il caso già risolto in epoca precedente. Magari la similitudine non sempre è perfetta, ma basta stringere un po' da un lato, allargare un po' dall’altro e il nuovo caso si incastra, anche se non proprio a pennello. Troppo semplice per essere vero.
Andando a ben guardare, i precedenti sono stati spesso il regalo che una burocrazia di superspecialisti al di sopra delle parti ha fatto al presidente di turno, in una relazione troppo esclusiva per non squilibrare quella con i vari gruppi parlamentari; presidente che a sua volta decideva se metterne al corrente la maggioranza del momento. Non servisse nel caso del giorno, il precedente veniva riposto cristallizzato in uno scrigno, per esserne richiamato in caso di bisogno. Diverso il caso dei prec e denti dest i nat i a non costituire precedente, una contraddizione in termini.
Non raramente è avvenuto anche questo. Di più, l’accesso a quello scrigno è sempre stato assai limitato, riservato agli addetti ai lavori. Sempre che non vi siano state recenti evoluzioni in senso democratico.
Forse è più utile, a chi non si diletta di i ntrugli parlamentari, spiegare in parole semplici cosa è un voto di fi- ducia posto dal governo su un arti colo o su un t esto. Spesso un “testone”, iperdimensionato, ma fuso i n un unico blocco, imperforabile.
La fiducia, strumento legittimo senza se e senza ma, è la sostituzione per decisione del governo dell’argomento in discussione con un atto d’amore chiesto ai parlamentari della maggioranza, ad occhi chiusi, dimenticando quel che si stava discutendo. A quell’atto d’amore, una risposta negativa, per di più pubblica, rappresenta un fatto gravissimo, che può far cadere un governo o far cadere fuori dalla maggio- ranza lo sconsiderato.
La legge elettorale, poi, è materia che il solo buon senso fa ritenere non comprimibile nelle coscienze, soprattutto se contiene, ad esempio, una promessa non mantenuta. Quella, ad esempio, di tornare alla pratica “sovversiva” di legare in qualche modo il cittadino elettore al proprio rappresentante nelle due camere. Il parlamentare, chiamato a dire se quella legge gli sta bene, deve dichiarare la sua fedeltà al governo. Dialogo tra sordi?
ARMA A DOPPIO TAGLIO Il Governo può chiedere ai parlamentari della maggioranza un voto a «occhi chiusi», ma il rifiuto ha conseguenze gravissime