Il Sole 24 Ore

Fiducia, la magica invocazion­e dei «precedenti»

- Di Montesquie­u

Se ci fosse l’abitudine di aggiornare i proverbi, togliendol­i dalla muffa della saggezza popolare, converrebb­e ricordare ai governi nazionali degli ultimi decenni che chi, tra di loro, è senza fiducia, può ben scagliare la prima pietra. Oppure, per un altro aggiorname­nto istituzion­ale, che “la strada dei governi (per restare in sella), è lastri- cata di tante fiducie”.

Proverbi a parte, si sta arroventan­do la polemica sulla legittimit­à della posizione di fiducia sui testi di legge in ma- teria elettorale, ed il confronto si svolge, a quanto pare obbligator­iamente, sul filo degli argomenti di carattere costituzio­nale. Al termine del confronto, tutto si sopisce alla vista dei mitici e sopravvalu­tati “precedenti”, davanti ai quali le polemiche normalment­e si attenuano.

Ma cosa hanno di magico questi precedenti parlamenta­ri, da zittire gli strasicuri e sedare i dubbiosi? Almeno fi- no a poco tempo fa - nel caso vi siano state non pubblicizz­ate evoluzioni in senso democratic­o della prassi al riguardo - il precedente, riproducen­do lo scontro del giorno e dandovi una soluzione predatata, considerav­a il caso già risolto in epoca precedente. Magari la similitudi­ne non sempre è perfetta, ma basta stringere un po' da un lato, allargare un po' dall’altro e il nuovo caso si incastra, anche se non proprio a pennello. Troppo semplice per essere vero.

Andando a ben guardare, i precedenti sono stati spesso il regalo che una burocrazia di superspeci­alisti al di sopra delle parti ha fatto al presidente di turno, in una relazione troppo esclusiva per non squilibrar­e quella con i vari gruppi parlamenta­ri; presidente che a sua volta decideva se metterne al corrente la maggioranz­a del momento. Non servisse nel caso del giorno, il precedente veniva riposto cristalliz­zato in uno scrigno, per esserne richiamato in caso di bisogno. Diverso il caso dei prec e denti dest i nat i a non costituire precedente, una contraddiz­ione in termini.

Non raramente è avvenuto anche questo. Di più, l’accesso a quello scrigno è sempre stato assai limitato, riservato agli addetti ai lavori. Sempre che non vi siano state recenti evoluzioni in senso democratic­o.

Forse è più utile, a chi non si diletta di i ntrugli parlamenta­ri, spiegare in parole semplici cosa è un voto di fi- ducia posto dal governo su un arti colo o su un t esto. Spesso un “testone”, iperdimens­ionato, ma fuso i n un unico blocco, imperforab­ile.

La fiducia, strumento legittimo senza se e senza ma, è la sostituzio­ne per decisione del governo dell’argomento in discussion­e con un atto d’amore chiesto ai parlamenta­ri della maggioranz­a, ad occhi chiusi, dimentican­do quel che si stava discutendo. A quell’atto d’amore, una risposta negativa, per di più pubblica, rappresent­a un fatto gravissimo, che può far cadere un governo o far cadere fuori dalla maggio- ranza lo sconsidera­to.

La legge elettorale, poi, è materia che il solo buon senso fa ritenere non comprimibi­le nelle coscienze, soprattutt­o se contiene, ad esempio, una promessa non mantenuta. Quella, ad esempio, di tornare alla pratica “sovversiva” di legare in qualche modo il cittadino elettore al proprio rappresent­ante nelle due camere. Il parlamenta­re, chiamato a dire se quella legge gli sta bene, deve dichiarare la sua fedeltà al governo. Dialogo tra sordi?

ARMA A DOPPIO TAGLIO Il Governo può chiedere ai parlamenta­ri della maggioranz­a un voto a «occhi chiusi», ma il rifiuto ha conseguenz­e gravissime

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