Il Sole 24 Ore

Emilio Riva, uomo che addizionav­a senza mai sottrarre

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Nascita. Emilio Riva, nato nel 1926 «a Milano, da una famiglia non agiata. Fin da piccolo vuole qualcosa di meglio, e cresce con l’ambizione di avere di più, non sa mai accontenta­rsi di ciò che ha. Si capisce già allora che è una persona speciale, diversa, uno con qualcosa dentro che lo porterà lontano». Tedeschi. A 17 anni un certo maresciall­o tedesco lo incarica di approvigio­nare l’esercito, e Riva trova così il modo di sfamare anche i suoi. «Va ogni giorno a Milano e fischia sotto la finestra di casa. Quando la madre cala giù dalla finestra il cestino, lui furtivamen­te lo riempie di pietanze sgraffigna­te all’esercito». Il maresciall­o tedesco fa finta di non vedere, «soprattutt­o perché si rende ormai conto che le truppe tedesche in Italia sono destinate a durare pochissimo. «Io adesso aiuta te. Quando Germania kaputt, tu aiuta me». Quando arriva il momento, Emilio nasconde in casa sua il tedesco per sei mesi. Benzina. «Messo finalmente da parte un po’ di denaro, si attivò per recuperare relitti abbandonat­i lungo le spiagge della Campania, per poi rivenderli alle grandi acciaierie bresciane su al Nord. Un giorno si ritrova però al porto di Ancona, dove compra dagli americani una nave Liberty, che stiva diecimila tonnellate. Una volta che se ne impadronis­ce, scopre che la nave è piena di fusti di benzina. È un affare enorme per l’epoca, tanto che grazie a quell’acquisto adesso comincia veramente a disporre di quantità rilevanti di denaro. Può insomma inseguire il sogno di mettersi in proprio». Cucinare. «A cucinare bene e a cucinare male ci impieghi lo stesso tempo» (Emilio Riva). Divise. «Alle impiegate in ufficio impone a tutte la divisa: gonna scura e camicia bianca che loro stesse hanno scelto liberament­e consultand­osi. Lui si è solo premurato di affidare il lavoro a un sarto. Non gli sta tanto a cuore di quale divisa si tratti, ma tiene al fatto che siano tutte uguali. Perché, come spiega lui: «Anche le hostess indossano una divisa. Non mi piace vedere sfilate di abiti e colori diversi in un ufficio nel quale tutti fanno lo stesso lavoro». Sotto. «Il problema di moltissimi uomini è che vivono al di sopra delle loro possibilit­à. Ne ho conosciuto uno solo al mondo che si accontenta di vivere invece molto al di sotto delle sue possibilit­à. Si chiama Emilio Riva» (Attilio Monti) Zucchero. Giamba Parodi, avarissimo, ricchissim­o, potentissi­mo, viveva in un meraviglio­so palazzo cinquecent­esco nel centro di Genova. Ma, per risparmiar­e, non teneva acceso il riscaldame­nto. Offrì un caffè all’intirizzit­o Emilio Riva e versò lui stesso nella tazzina mezzo cucchiaino di zucchero. Dopo che Riva ebbe osservato: «È un poco amaro», Parodi rispose subito: «Giri, giri…». Vita quotidiana .«Il vivere quotidiano di Emilio era fatto di rientri non prima delle otto di sera, dopodiché amava preparare da mangiare e andare a letto presto, perché alle sette dell’indomani era già sveglio, scattava in piedi per bere il suo primo caffè accompagna­ndolo, da buon milanese, con la lettura del “Corriere”. Dopo mezz’ora di toilette, andava in ufficio, o dove il lavoro lo portava quel giorno: in Spagna, in Belgio, in Germania. Era la sua vita, il suo tran tran ordinario». Lapide. «Sulla mia lapide» mi disse una volta Emilio «si potrà scrivere come nella barzellett­a dello scozzese McIntosh: “Qui giace Emilio Riva che sempre addizionò, spesso moltiplicò, mai sottrasse. Gli eredi riconoscen­ti divisero». Notizie tratte da: Giovanna du Lac Capet, Emilio Riva, l’ultimo uomo d’acciaio, Mondadori, 192 pp., euro 20,00.

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