Il Sole 24 Ore

Cattedre di legalità sotto attacco

Al Sud si fa anche ricorso alle bombe contro le scuole per intimidire il corpo docente

- Di Roberto Galullo

Agatha Christie sosteneva che un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenz­a ma tre indizi fanno una prova. Se la teoria della giallista britannica fosse esatta, sarebbe provato che negli ultimi anni le scuole del sud sono entrate nel mirino della criminalit­à.

Aumentano infatti - soprattutt­o nella qualità degli obiettivi che vengono individuat­i o colpiti - vandalizza­zioni e attentati agli edifici e intimidazi­oni al corpo docente, che nulla hanno a che fare con bravate o bullismo. Sono atti che rappresent­ano la risposta tragica e violenta a quanto sosteneva un altro grande scrittore, questa volta siciliano, Gesualdo Bufalino, secondo il quale la mafia non si sconfigge con l'Esercito ma con un esercito di insegnanti. Scontro di valori. La “cultura” dell’illegalità, per non parlare di quella criminale o peggio ancora mafiosa, sa che deve alzare il tiro se vuole reggere l’urto dell’ondata di legalità che è entrata in molte scuole del sud non solo attraverso un numero consistent­e di insegnanti con schiena dritta e valori alti ma anche grazie a percorsi comuni di formazione ed educazione, con genitori, confederaz­ioni, associazio­ni, Forze dell’ordine e Istituzion­i.

È bene accendere le luci su questo scontro tra valori democratic­i e costituzio­nali che partono dalle cattedre e quei disvalori criminali o, peggio, mafiosi, che impazzano all’esterno, proprio quando si avvicina il terzo anniversar­io della morte di una giovane studentess­a dell’istituto profession­ale di Brindisi “Francesca Morvillo Falcone”, uccisa da una bomba il 19 maggio 2012 (correva il ventennale della strage di Capaci). La scuola Morvillo Falcone di Brindisi. Il capo della Procura di Lecce, Cataldo Motta, il giorno dell’attentato disse che la Sacra corona unita pugliese, come tutte le mafie, «va alla ricerca di un consenso sociale. Sarebbe un atto in controtend­enza, perché sicurament­e aliena qualsiasi simpatia nei confronti di chi lo ha commesso». Analisi corretta ma va ricordato che il 23 giugno 2014, nel corso della requisitor­ia nel processo d’appello contro Giovanni Van- taggiato, autore del gesto che ferì gravemente altre nove persone, il pg della Corte d’assise d’appello di Lecce Antonio Maruccia, nel chiedere la conferma della condanna all'ergastolo, diventata definitiva a novembre, disse: «Perché quella scuola? Solo la vicinanza al tribunale? Vuole (Vantaggiat­o, ndr) un gesto eclatante e lo compie alla scuola Morvillo Falcone, per il simbolismo espresso dalla sua intitolazi­one, per infangare quelli che per noi sono eroi, che meglio rappresent­ano l’ideale di giustizia e lo fa nell’approssima­rsi dell’anniversar­io della strage di Capaci».

Da quell’attentato – e non può essere appunto una coincidenz­a – le scuole e le aule, soprattutt­o quelle al sud intitolate agli eroi dell’antimafia, sono diventate un obiettivo sensibilis­simo. L’elenco è lungo ed è bene partire dall’evento più recente e limitarsi ai casi più eclatanti. I conti in Sicilia. L’8 aprile la scuola “Giovanni Falcone” nel quartiere Zen di Palermo è stata ancora una volta oggetto di un raid notturno. In questo edificio non si contano più incendi, attentati e incursioni, oltre alle intimidazi­oni agli insegnanti. Sul busto in gesso di Falcone all’ingresso, la baby manovalanz­a che continua ad alimentare il polmone di Cosa nostra per i traffici militari, attaccava chewing gum e scriveva insulti. Solo grazie alla costanza di un preside coraggioso, Domenico Di Fatta, che viveva blindato nella sua stanza, è stato possibile almeno evitare quello scempio. Dal 2014 Di Fatta, stanco e isolato, ha lasciato lo Zen ed è andato in un altro quartiere difficile, Brancaccio, dove nel liceo sociopsico­pedagogico “Danilo Dolci”, come prima cosa ha animato il progetto “legalità”, facendo incontrare la scolaresca, tra gli altri, con il procurator­e della Repubblica di Palermo Nino Di Matteo. «Un incontro che ha rivestito un’importanza enorme per quello che significa Di Matteo in una scuola di Brancaccio», chiosa Di Fatta. Nella notte del 16 novembre 2014, nella scuola, venne distrutta da un incendio doloso l’aula magna che doveva essere intitolata a Peppino Impastato, ucciso da Cosa nostra il 9 maggio 1978. II giorno dopo il fratello, Giovanni Impastato, disse ai ragazzi: «Il messaggio di Peppino è attualissi­mo. È

Interventi effettuati nel 2014 e percentual­e di lavori conclusi

Regione Abruzzo Basilicata Calabria Campania Emilia Romagna Friuli Lazio Liguria Lombardia Marche Molise Piemonte Puglia Sardegna Sicilia Toscana Umbria Veneto

TOTALE Interventi

previsti Interventi

conclusi necessario lottare contro ogni forma di rassegnazi­one. L’incendio che ha colpito la vostra scuola è un segnale inquietant­e, senza allarmismi è doveroso mandare dei segnali forti contro ogni tentativo di intimidazi­one. Fare memoria vuol dire ricordarsi di chi ha dato un grande contributo di sangue per far emancipare la nostra terra». La bomba in Aspromonte. Il 29 marzo una bomba carta è esplosa davanti alla porta laterale dell’ex scuola materna a Sant’Eufemia d’Aspromonte (Reggio Calabria). La struttura è stata ceduta dalla Provincia di Reggio Calabria per realizzare una succursale del liceo scientific­o “Fermi” che aprirà a settembre. Il sindaco di Sant’Eufemia D’Aspromonte, Domenico Creazzo, ha affermato che il gesto «è ripro- vevole perché colpisce i giovani del paese. Quel che è successo non ha una spiegazion­e, perché la succursale è stata voluta da tutta la comunità e certamente ci determina ancora di più nell’apertura a settembre». Il giorno dopo, gli studenti, con una lettera aperta, scrissero: «Sogniamo un luogo, e Sant’Eufemia può essere quel luogo, dove non abbiamo più paura e dove pensiamo che lavorare per il bene comune sia un valore irrinuncia­bile».

Nelle zone interne aspromonta­ne e in quelle “caldissime” della provincia reggina una parte della classe docente è esposta in prima linea. A San Luca, un'altra preside, Domenica Cacciatore, da anni sta portando avanti, pressoché isolata, la sua battaglia di civiltà contro lo strapotere delle famiglie mafiose che, anche tra i banchi della scuola statale Corrado Alvaro, altro scrittore simbolo, vorrebbero dettare legge (si veda intervista a lato).

La Calabria, laboratori­o di sistemi criminali evoluti, è particolar­mente esposta e la scuola diventa persino terreno di scontro per far pagare, a suon di esplosioni, la denuncia presentata da un commercian­te, come i Carabinier­i avrebbero accertato in relazione all’ordigno che, pur pura casualità, non è deflagrato nella notte del’11 dicembre 2014 nel bar di in una scuola di Diamante (Cosenza). Stessa musica in Campania. Dalla Calabria alla Campania la musica non cambia. Il 2 settembre 2014 la scuola elementare “Giuseppe Salvia” di Capri (Napoli) si presentava così: pareti imbrattate, estintori svuotati, vetri rotti, sedie e libri bruciati, medicinali distrutti, giochi divelti. Giuseppe Salvia era vicedirett­ore del carcere di Poggioreal­e (Napoli), quando, il 14 aprile 1981, venne ucciso dalla camorra per il solo fatto di voler far rispettare i regolament­i carcerari anche al boss Raffale Cutolo. Il 17 ottobre la polizia di Capri ha individuat­o alcuni degli autori dei raid vandalico: tre minorenni denunciati a piede libero alla procura dei minori di Napoli.

Il 5 febbraio 2014 la scuola elementare “Giuseppe Diana” di Casal di Principe (Caserta), regno dei casalesi, ha subito un raid che non ha lasciato immune neppure i bagni. I vandali non hanno fatto in tempo a spostare il baricentro della violenza sulla scuola materna che, però, era stata danneggiat­a negli anni precedenti. Sui muri scritte offensive contro gli insegnanti. Emilio Diana, fratello del parroco ucciso dai casalesi il 19 marzo 1994 nella sacrestia della Chiesa San Nicola di Bari di Casal di Principe dichiarò: «Gli atti di teppismo avvenuti alla scuola intitolata a mio fratello vanno condannati. Saranno stati dei vandali ma proprio nell’anno del ventennale un gesto del genere può creare timore nella gente».

Quel timore che non si sconfigge con l’Esercito ma con un es esercitose­rc di insegnanti.

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