Parigi vince il braccio di ferro con Ghosn Renault, accordo fatto sul doppio diritto di voto
candidato all’Eliseo François Hollande promise, in caso di elezione, il varo di una legge che costringesse i grandi gruppi industriali a cercare attivamente un acquirente per le attività destinate alla chiusura, a fronte di sanzioni finanziarie. Legge che ha visto appunto la luce all’inizio dell’anno scorso e che in un articolo prevede anche il “premio” del doppio diritto di voto per gli azionisti stabili, quelli cioè che detengono titoli per almeno due anni.
L’obiettivo nobile, e strenuamente difeso dal ministro dell’Economia Emmanuel Macron, è quello di privilegiare un assetto azionario stabile, che dia al management la tranquillità delle prospettive di lungo periodo. Quello meno nobile e mai confessato è di dare allo Stato (anche allo Stato) la possibilità di ridurre le proprie partecipazioni senza perdere peso nelle decisioni strategiche (Exane Bnp Paribas ha calcolato che grazie a questo provvedimento lo Stato potrebbe cedere quote per 16,5 miliardi).
L’unico modo per evitare l’applicazione del doppio diritto di voto (a partire dall’aprile 2016) è che l’assemblea di una società la respinga con una maggioranza qualificata dei due terzi.
La questione si è ovviamente posta in molti casi (fiumi di inchiostro si sono spesi a proposito di Viven- di), ma solo a Renault si è arrivati a una contrapposizione netta tra il Governo (che del costruttore detiene il 15%) e il vertice aziendale. All’insaputa di quest’ultimo, il Governo ha infatti proceduto – lo scorso 8 aprile – all’acquisto di un ulteriore pacchetto del 4,7% di Renault proprio per avere la sicurezza di poter contrastare la linea «un’azione un voto» e ottenere quindi la bocciatura della risoluzione 12.
Ghosn e il suo Cda hanno spiegato a più riprese – e ancora ieri mattina a poche ore dall’assemblea – che l’applicazione della legge avrebbe creato uno squilibrio di difficile gestione tra i due grandi azionisti: lo Stato, appunto, che passa dal 17,8% al 28% dei diritti di voto, e Nissan, che anch’essa ha il 15% del gruppo ma senza alcun diritto di voto perché controllata al 43,4% proprio da Renault.
Spetterà ora a Ghosn riportare la calma in casa giapponese – ma anche presso molti altri azionisti, a partire da Daimler – ed evitare conseguenze per l’Alleanza (in cui Nissan fa ormai la parte del leone). Quanto al Governo, incassata la vittoria, procederà in autunno alla vendita del 4,7% acquisito con quest'unico obiettivo.
Ma Ghosn deve anche riflettere sulla sua mega retribuzione: il consenso dell’assemblea su questo punto si è ulteriormente ridotto, dal già scarso 64% dell’anno scorso al 58 per cento.