Il Sole 24 Ore

Licenziame­nti collettivi, conteggi nello stabilimen­to

- Giampiero Falasca

fini del superament­o della soglia che trasforma il licenziame­nto da individual­e plurimo a collettivo (con l’obbligo conseguent­e di rispettare le procedure di informazio­ne e consultazi­one sindacale previste dalla Direttiva comunitari­a 98/59/ CE), il legislator­e nazionale deve conteggiar­e solo i recessi intimati nella singola unità produttiva dove lavora il dipendente, senza tenere conto di quelli attuati presso gli altri stabilimen­ti; resta ferma la facoltà per ciascuno Stato membro di adottare una nozione più restrittiv­a, ma questa opzione non è imposta dal diritto comunitari­o.

Con queste massime la Corte di giustizia europea (sentenza Causa C 80/14) ricostruis­ce alcuni concetti essenziali in materia di licenziame­nti collettivi.

La questione nasce nel Regno Unito, dove due catene di negozi, a causa di una profonda crisi economica che le ha investite, hanno licenziato migliaia di dipendenti.

Una delle dipendenti licenziate, insieme al sindacato cui è iscritta, ha portato in giudizio le società sostenendo che il licenziame­nto era viziato per mancata adozione della procedura prevista dalla legge per i licenziame­nti collettivi.

Le aziende si sono difese evidenzian­do che i licenziame­nti sono stati intimati senza procedura collettiva in quanto, nell’ambito di ciascuno dei singoli negozi della catena, non hanno mai interessat­o 20 o più dipendenti (questa la soglia fissata dalla dirett i va comunitari­a per il licenziame­nto collettivo).

La Corte d’appello inglese si è rivolta alla Corte di giustizia europea per sapere se il calcolo della soglia dei 20 licenziame­nti deve considerar­e i licenziame­nti effettuati nell’insieme degli stabilimen­ti del datore di lavoro, oppure se deve includere solo quelli effettuali nel singolo stabilimen­to.

La Corte di giustizia risponde a questo quesito chiarendo che, quando l’impresa è composta da più entità, si deve considerar­e come “stabilimen­to” solo l’entità presso cui lavorano i lavoratori colpiti da licenziame­nto; viene quindi respinta la tesi, maggiormen­te garantista per i lavoratori, che propone di considerar­e, ai fini del raggiungim­ento della soglia, il numero totale dei licenziame­nti effettuati in tutti gli stabilimen­ti dell’impresa.

Questa lettura, secondo la sentenza, comportere­bbe oneri molto diversi per le imprese a seconda dello Stato membro interessat­o, e quindi andrebbe nella direzione contraria all’obiettivo perseguito dal legislator­e dell’Unione di equiparare tali oneri in tutti gli Stati membri.

Pertanto, conclude la Corte Ue, la nozione di stabilimen­to indica l’unità alla quale i lavoratori colpiti dal licenziame­nto sono addetti per lo svolgiment­o dei loro compiti; spetta al giudice del rinvio determinar­e in concreto quando ci si trova di fronte a tale situazione. Questa lettura, precisa la Corte di giustizia, non impedisce agli Stati membri di adottare, sulla base delle nozione comunitari­a, delle norme nazionali che, senza ridurre il livello minimo di tutela, risultino più favorevoli ai lavoratori.

La legislazio­ne italiana rientra proprio in questa fattispeci­e in quanto la normativa sui licenziame­nti collettivi (la legge 223/1991) ha introdotto criteri più restrittiv­i rispetto a quelli comunitari, con soglie molto più basse. Questo impianto resta inalterato a seguito dell’emanazione della pronuncia, anche se questa potrà avere riflessi in sede giudiziale, per dirimere le controvers­ie nella quali si discute intorno alla nozione di “unità produttiva”.

DISCREZION­ALITÀ Per i giudici il legislator­e nazionale può adottare anche una nozione più restrittiv­a, non imposta dal diritto comunitari­o

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy