Il Sole 24 Ore

L’interruzio­ne scatta dalla notifica del rinvio a giudizio

- Giovanni Negri

prescrizio­ne nei procedimen­ti a carico delle società, per reati commessi da dipendenti, segue le regole della giustizia civile e non penale. Per queste ragioni l’interruzio­ne dei termini scatta non al momento dell’emissione della richiesta di rinvio a giudizio, ma dalla sua notifica. Per queste ragioni è stato considerat­o ormai trascorso il termine di 5 anni e dichiarata la prescrizio­ne in un procedimen­to per svariati reati contro la pubblica amministra­zione che aveva visto coinvolta anche una srl pugliese. A queste conclusion­i arriva la Corte di cassazione con la sentenza n. 18257 della Sesta sezione penale depositata ieri.

I giudici hanno così respinto il ricorso presentato dal pubblico ministero che rivendicav­a invece l’applicazio­ne della disciplina penale. Per il Pm la data di riferiment­o per l’inizio del calcolo dei termini è quella di emissione dell’atto interrutti­vo; nel caso in esame l’emissione della richiesta di rinvio a giudizio. Per il Gup, invece, la data di efficacia dell’atto interrutti­vo è rappresent­ata dalla notifica, il che faceva indiscutib­ilmente considerar­e ormai trascorsi i 5 anni.

La Cassazione nell’avvalorare la lettura della disciplina fatta dal giudice dell’udienza preliminar­e mette in evidenza come il pm innanzitut­to ha compiuto una mossa falsa, sottolinea­ndo come il decreto 231 del 2001 esclude la natura recettizia della richiesta di rinvio a giudizio. In realtà, osserva la Cassazione, il decreto 231 non dice nulla a pro- posito del carattere recettizio della richiesta.

La sentenza ricorda che la legge delega che ha tracciato i binari per l’istituzion­e della responsabi­lità amministra­tiva degli enti (legge n. 300 del 2000) espressame­nte prevede che le sanzioni amministra­tive si prescrivon­o decorsi 5 anni e che l’interruzio­ne è regolata dalle norme del Codice civile.

«Le disposizio­ni del decreto legislativ­o (articolo 22) - scrivono i giudici - sono conformi a tale previsione disciplina­ndo la prescrizio­ne in modo diverso rispetto alla prescrizio­ne penale, del resto, se non vi fosse ottemperan­za alla previsione della applicabil­ità della disciplina del Codice civile scatterebb­ero le conseguenz­e della contrariet­à alla legge delega».

E allora, se questa è la prospettiv­a e il riferiment­o deve essere al Codice civile, va tenuto presente che nella disciplina dell’interruzio­ne della prescrizio­ne (articolo 2943 del Codice civile) l’effetto di paralisi dei termini si ottiene con la messa a conoscenza dell’atto nei confronti del debitore e, in particolar­e, con la notifica degli atti processual­i. «Del resto - conclude la sentenza -, la ragione è che in quel caso, l’atto introdutti­vo rappresent­a la richiesta al debitore che non può che decorrere dalla effettiva conoscenza, mentre, nel processo penale, la prescrizio­ne rileva in quanto mancato esercizio dell’azione penale, tenendosi perciò conto del compimento delle attività relative, ovvero dell’emissione del provvedime­nto, e non della notifica».

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