Così i Black-bloc tedeschi hanno scatenato il caos
segnale dell’inizio della battaglia, in via de Amicis. Quello della fine, in via Guido d’Arezzo. Dopo tre ore e dopo che una cinquantina di auto è stata incendiata e una trentina di vetrine e case danneggiate. La guerriglia è finita, quando le “divise” dell’assalto sono state abbandonate. E abbiamo camminato su un tappeto di mantelli, felpe, guanti. Tutti neri. Ma anche mazze, caschi e martelli. La guerriglia è finita, quando i casseurs si sono mescolati aglialtri. Cambiandoquellapelleda incappucciati della galassia anarchica internazionale.
Il passaparola è iniziato, quando la coda della May day Parade ha su- perato le colonne di San Lorenzo. È lì che li ho visti tirar fuori le maschere antigas dagli zaini, alzare le sciarpe, infilare i martelletti frangi vetro. Così il primo ha spaccato le vetrine di una concessionaria di auto. Pochicolpi, poiilritornonella massa. Arriva un altro, un pugno e la firma: Smash Expo. Gli stranieri. Tedeschi, come quelli che due giorni prima si confondevano nel corteo antifascista. Da allora, è stata guerriglia. Come previsto. La bandadiottonicheaprivalaparata, è un ricordo svanito. Al suo posto, bombe carta ed esplosioni, iniziate davanti alle barriere della polizia, per impedire l’avanzata al Duomo. Volano bottiglie incendiarie. Poi, ecco il rombo. Dall’altra parte della barricata, si azionano gli idranti. Il blocconeroavanzaapocadistanza dal camion con le bandiere No Tav e lo striscione “Graziano libero”riferimento al manifestante arrestato in un assalto in Val Susa. Con i martelli, in via Carducci viene picconato il muro antico del collegio dell’Università Cattolica: anche quelle pietre verranno lanciate contro Poste, banche, negozi. La via stretta rende tutto angusto, i fumogeni fanno il resto, insieme alla crescente ostilità verso i cronisti.
Ho visto sagome nere spaccare vetrine, lanciare bombe carta, ma non sempre sono riuscita a fotografare. Il rischio, farsi spaccare il telefono, comehannoprovatoconlatelecamere di un collega. Uno di loro mi aveva ammonito: «Niente scatti compromettenti». Niente volti riconoscibili. E riconoscibili non lo erano per niente, quando hanno cominciato ad incendiare. Da via Carducci, i bersagli diventano anche le auto. Una colonna di fumo nero si alza su piazza Cadorna. Brucia la Bnl, la pasticceria Venchi, poi ancora un’auto e un’altra ancora. In via Leopardi, le fiamme raggiungono il primo piano. Un’ondata di calore ci investe, insieme alla paura che la macchina possa esplodere. Una foto veloce, poi la corsa.
Volano pietre e bottiglie, cercate nei cestini. Chi ce l’ha, anche tra i cronisti, indossa il casco per protezione.
I casseur compongono un cordone. Camminano a ritroso. Davanti, uno di loro in carrozzella, col casco. Greci, spagnoli, francesi, tedeschi, italiani. Le ragioni della contestazione non esistono più, avvolte da una sola nuvola di fumo, che cancella le piazze. Irrita le gole e gli occhi. Mi alzo la sciarpa sulla bocca, una collega mi presta occhiali da sole. Gli agenti bagnano le mani nelle pozzanghere, per rinfrescare le pupille. Vengono lanciate bottiglie anche contro persone affacciate ai balconi. La polizia lancia lacrimogeni, loro rispondono con molotov. Io e molti altri colleghi avevamo chiara la sensazione che se ci fossero state cariche, la situazione poteva degenerare ancora. L’ultima battaglia, come previsto, a Pagano. Dopo, le divise sono state abbandonate. Quelli che ai tempi del G8 erano i black bloc cambiano pelle. Fotografo martelli, davanti ai blindati ci sono i primi fermati. Del corteo iniziale, nessuna traccia. Sul telefono, insieme a segnalazioni, gli sms di chi chiede: «Tutto bene?». Hanno sentito la concitazione delle dirette su Radio24, quando era difficile anche respirare.
Tutto è sfrangiato. «Questo è un modo per farsi ascoltare», rivendica un antagonista sardo, che accetta di parlare. Delle ragazze torinesi distinguono tra i roghi alle auto («un errore») e quelli alle banche («un simbolo da attaccare»). La tensione scende, come la pioggia, che almeno rinfresca gli occhi.
L’ultimo ostacolo per me, entrare dentro la redazione del Sole24ore. Gruppi di antagonisti sono arrivati fino a piazzale Lotto. Le porte del palazzo sono chiuse. Il cappellino in testa, i capelli bagnati non mi aiutano. Alla fine, nella borsa trovo il badge aziendale.
La giornata di guerriglia è finita anche per me.
IL RACCONTO La reporter di Radio 24 nel cuore degli scontri: la polizia ha impedito l’avanzata dei violenti verso piazza del Duomo