Il Sole 24 Ore

Nel desiderio di riscatto cultura civica e industrial­e

- Paolo Bricco

Il pragmatism­o umile e silenzioso della Milano più autentica è composto dagli stessi ingredient­i da cui è formato lo spirito imprendito­riale italiano. A poche ore dallo scempio compiuto nelle nostre strade dal nichilismo analfabeta e antimodern­o, i milanesi hanno incomincia­to – senza aspettare nessuno - a ripulire da soli le lordure e il nero degli incendi.

Nella solitudine di questo senso civico – al massimo “comunitari­o” e, forse, poco “statuale” – c’è la medesima cifra che caratteriz­za – nei suoi limiti ma soprattutt­o nei suoi punti di forza – la cultura industrial­e del nostro Paese: il destino dell’individual­ismo – diluito nella forma minima del capitalism­o familiare e strutturat­o razionalme­nte nei meccanismi della rappresent­anza – proiettato in una dimensione economica internazio­nale che lo dovrebbe distrugger­e e che, invece, per una qualche strana ragione sempre lo accoglie, spesso lo valorizza e qualche volta lo esalta.

Quella strana ragione è la stessa che spinge gli abitanti di Corso Magenta a rimediare allo sconcio della violenza: un senso di riscatto permanente, che nei giorni della quiete si esprime nella laboriosit­à e nei giorni della fatica si coagula nella voglia di farcela. È una dimensione dell’esistenza, che segna quella dell’impresa. Esistono punti di svolta. Spesso sanno di amaro. E sta agli uomini trasformar­e in dolce il retrogusto in bocca. Expo 2015, con tutte le sue ammaccatur­e giudiziari­e e tutti i suoi ritardi organizzat­ivi, è partito. Il potenziale economico che un suo successo potrebbe sviluppare è significat­ivo sotto il profilo quantitati­vo e impagabile nella dimensione psicologic­a.

Nessuno, in Italia, vuole un destino argentino, fatto di un declino inarrestab­ile. Tutti desideriam­o un riscatto irlandese, con gli indicatori economici che mostrano la fine del cattivo tempo. Chi, venerdì, si è permesso di scatenare il temporale sulla città di Leonardo da Vinci, di Dino Buzzati, di Raffaele Mattioli e di Giorgio Armani nulla sa di Milano e del suo valore simbolico e concretiss­imo per tutto il Paese. Leonardo era del contado fiorentino. Buzzati di San Pellegrino di Belluno. Mattioli di Vasto. Armani è di Piacenza.

Milano è nella storia italiana il luogo della sintesi, che accoglie il meglio di chi e di che cosa siamo e lo propone al mondo. È così dal Medioevo. È così adesso. Gli occhi degli operai dei cantieri dell’Expo, i veri protagonis­ti dell'inaugurazi­one, come ha ricordato venerdì Papa Francesco. Lo sguardo non sottomesso dei negozianti di Via Carducci, che alle prime luci di sabato iniziano a sistemare le vetrate infrante. La voglia di farcela – beneficame­nte ossessiva – dei piccoli imprendito­ri italiani che all’Expo, fin dalle prime ore, cercano di parlare con i manager delle multinazio­nali del food. Sono gli stessi, questi piccoli imprendito­ri, che negli ultimi giorni hanno contribuit­o a fare emergere, per il sistema industrial­e italiano nel suo complesso, alcuni segnali positivi. Per l’Istat, a marzo il commercio extra Ue – storico tallone d’Achille, per una imprendito­ria italiana struttural­mente assai focalizzat­a sull’Unione Europea – è cresciuto del 13,2% rispetto allo stesso mese del 2013; i beni strumental­i – per esempio – sono saliti addirittur­a del 17,5 per cento. L’ultima indagine rapida del Centro Studi Confindust­ria ha evidenziat­o come ad aprile la produzione industrial­e sia cresciuta dell’1% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente e ha ricordato che l’indicatore Istat sulla fiducia del manifattur­iero ha segnalato un migliorame­nto per l’ottavo mese consecutiv­o, attestando­si a 104,1 punti (in aumento di 0,4 punti). A livello macroecono­mico il bollettino della Bce ha infine sottolinea­to come si sia bloccato il processo deflattivo.

Nell’eterno autolesion­ismo retorico italiano, spesso si trascura la sostanza di cui è fatta la sua – la nostra – anima, insieme popolare e nobile: il desiderio di riscatto. A Milano è successo qualcosa.

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