Vette di una nuova «città che sale»
come se fosse stata svuotata dall’interno e riempita con la spirale di una scala che culmina in alto nel belvedere illuminato dal neon di Lucio Fontana. Poco distante il contestato gate di Expo incornicia la prospettiva sul Castello con un segno nuovo che potrà spiacere ai nostalgici ad ogni costo, ma indubbiamente, insieme ai “fiocchi di neve” da poco installati nell’area pedonale di Foro Bonaparte, consente di vedere con occhi nuovi il lascito dell’eredità storica, creando un temporaneo contrasto con l’austera mole di mattoni . All’insegna del «c’è qualcosa di nuovo anzi di antico», molte parti della città storica sono state leggermente rimodellate , secondo un processo che in fin dei conti può contare a Milano su una lunga tradizione che i nostri maestri del 900 (da Albini a Ponti o ai BBPR) avevano teorizzato e praticato.
Prendiamo il caso del Museo del Duomo, che in punta di piedi Guido Canali ha ridisegnato dall’interno facendo rimergere interi brani delle architetture medievali e rinscimentali o quello del nuovo allestimento della Pietà Rondanini, che, nonostante il discutibile pavimento in legno nella sale dell’antico ospedale, offre un nuovo punto di vista sulla famosa scultura.
Ma, accanto a queste trasformazioni “silenziose” ovvia- mente , altre più eclatanti si mostrano ai visitatori: e sono quelle che maggiormente contribuiscono a ridefinirne la silhouette di eterna “cittàche sale”.
L’area Garibaldi innanzitutto con la cima delle sue punte vetrose. Molto si è scritto o detto su questa piccola Dubai sorta in fretta in un punto incredibilmente centrale e derelitto ma è indubbio che anche per gli italiani la visita alla piazza Gae Aulenti è un must nei nuovi tour della modernità. In pochi anni, è sorta, letteralmente dal nulla, una città di specchi che culmina nel grattacielo a spirale di Cesar Pelli che dà ai milanesi il brivido di una nostrana edizione di “sex and the City” , il sentore domenicale di un brunch in uno spicchio di Manhattan alla faccia della Madonnina. Poco lontano la stentorea torre del giapponese Isozaki domina il quadrilatero dell’exFiera, come un gigante sulla schiuma ondeggiante degli ec- centrici condomini di Zaha Hadid e Daniel Libeskind, avamposti di un’urbanizzazione finalmente moderna.
Pochi passi più avanti, un’altra area dismessa – quella del Portello – testimonia il destino di Milano nell’età della postindustrializzazione e il senso di un cambiamento che non ha pari riscontro nel resto d’Italia. Case, uffici, negozi , parchi al posto dei vecchi recinti di fabbrica: cadono i muri di recinzione che separavano le cittadelle del lavoro dalla vita urbana e nuove architetture si incaricano di rappresentare il volto di una città che si scopre “friendly” se non proprio “smart”. Non lontano, nel quartiere della Bovisa, la periferia sironiana si è arricchita dei cromatismi accesi delle architetture dell’Atelier Mendini, all’altro capo della città, il quartiere della Bicocca ha sostituito la “città della gomma” , lo stabilimento Pirelli, lasciando al centro, co- me feticcio o relitto, la grande torre di raffreddamento chiusa in una teca di vetro. Milano si è ricostruita riciclandosi, ripartendo dal suo stesso interno: e lo ha fatto con convinzione e anche una certa efficacia se da città del lavoro è riuscita a diventare inattesa meta turistica per viaggiatori cool.
Basti pensare alla Fondazione Prada ne gli spazi dell’ex-distilleria in largo Isarco, nella zona sud della città, completamente ridisegnata dal controverso architetto olandese Rem Koolhaas o a un’altra “gemma” della nuova Milano: il MUDEC, sistemato dal britannico David Chipperfield nel cuore dello storico complesso industriale dell’Ansaldo. Una nuvola luminosa fa da cuore e corte interna delle gallerie espositive, configurandosi con la forza di un motore gentile dentro la carcassa derelitta delle acciaierie da cui una volta uscivano locomotive ed ora entrano opere d’arte e reperti della storia.
DA LAVORO A TURISMO COOL Non solo in centro: il volto della città si espande alle periferie, ed ex stabilimenti industriali si fanno musei per viaggiatori esperti