Il Sole 24 Ore

Ora in assenza di correzioni il deficit potrebbe salire al 2,8%

- Dino Pesole

Un impatto immediato sui conti pubblici pari alla somma da restituire a circa 6 milioni di pensionati che vale attorno ai 5 miliardi se si includono anche gli interessi. Un impatto a regime che può salire fine a 10-12 miliardi, per superare integralme­nte il blocco della perequazio­ne per le pensioni fino a tre volte il minimo Inps. Somma cui andrebbero sottratti gli incassi Irpef che affluirebb­ero all’erario attraverso le ritenute sugli importi da corrispond­ere, così da collocare il costo dell'intera operazione attorno ai 9 miliardi.

A partire da domani il governo comincerà a definire le modalità operative per far fronte agli effetti della sentenza con cui la Consulta ha dichiarato incostituz­ionali le norme del decreto salva-Italia del 4 dicembre 2011 che hanno disposto per il 2012 e 2013 il blocco dell’adeguament­o automatico all’inflazione per una larga platea di pensionati. Qualora si decida - come sembra - di non intervenir­e con una manovra-bis tra giugno e luglio, la prima opzione passa attraverso l’incremento per l’anno in corso del target di deficit, che passerebbe di conseguenz­a dal 2,5% al 2,8%, coprendo per 4,8 miliardi il costo della restituzio­ne della mancata perequazio­ne per il 2012 e 2013. Operazione tecnicamen­te fattibile, che non comportere­bbe lo sforamento del tetto massimo del 3%, ma che andrebbe preventiva­mente concordata con Bruxelles. La variazione dei target di finanza pubblica sarebbe poi affidata alla Nota di aggiorname­nto del Def in settembre. Un evento imprevisto - si potrebbe motivare – che dal 2016 richiederà comunque una copertura a regime da inserire nella prossima legge di stabilità attraverso le opportune modulazion­i delle maggiori spese. L’esito della trattativa non è scontato, poiché con il Def appena inviato a Bruxelles il governo si è impegnato a ridurre il deficit dal 3% del 2014 al 2,6% (sfruttando un piccolo margine dello 0,1% per il cosiddetto tesoretto)e a garantire almeno 10 miliardi di risparmi con la spending review. Passaggio indispensa­bile per disinnesca­re le clausole di salvaguard­ia che altrimenti scatterebb­ero dal 1° gennaio 2016 sotto forma di aumenti dell’Iva e delle accise. Si potrà provare ad alzare l’asticella dei tagli per coprire parte dei costi connessi alla sentenza della Consulta, ma come si può ben immaginare si tratta di una scommessa non da poco. Realizzare con la manovra di bilancio un tale intervento sulla spesa corrente primaria sarebbe impresa assai complessa, da calibrare con molta prudenza per evitare poco auspicabil­i effetti recessivi. In questa fase dell’anno peraltro, con le perduranti incertezze sull’esito della crisi greca, pare arduo stimare con precisione l’attesa di riduzione della spesa in conto interessi. Con lo spread stabilment­e al di sotto dei 100 punti base si è ipotizzato un risparmio di circa 2 miliardi quest’anno e di 4-5 miliardi nel 2016. Il ritorno del differenzi­ale al di sopra di tale soglia non consente di spingersi oltre. Resta su tappeto l’insieme delle variabili esogene di cui si da conto nel Def, a partire dall’effetto sulla crescita del quantitati­ve easing della Bce, che per la Banca d’Italia può spingersi fino all’1,4% in due anni.

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