Il Sole 24 Ore

Il cigno sfuggente di Platone

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Una leggenda dell’antichità ci riferisce che Platone, ormai vicino alla morte, sognò se stesso nella forma di un cigno sfuggente, inseguito da cacciatori in affanno che non riuscivano ad afferrarlo. Secondo la leggenda, è il filosofo Simmia a spiegare il sogno: con grandi sforzi e affanno gli interpreti di Platone cercherann­o di afferrarne il pensiero, ma lo faranno solo in parte, senza mai poter giungere a un’interpreta­zione univoca e fissata una volta per tutte.

L’aneddoto si attaglia perfettame­nte alle vicende dell’Academia platonica e alle avventure filosofich­e di cui essa fu protagonis­ta. Lo mostra un libro utile e importante ( Il platonismo), di Mauro Bonazzi, professore di filosofia antica alla Statale di Milano e noto anche oltre i confini nazionali.

Dall’acquisto da parte di Platone (o dal dono a lui fatto da uno dei suoi allievi) nel 380 a. C. del campo su cui sorgerà la sua scuola, alla distruzion­e degli edifici dell’Academia tra l’86 e l’89 a.C. nell’assedio romano, fino alla chiusura definitiva dell’Academia per ordine di Giustinian­o addirittur­a nel VI secolo d. C. (negli anni in cui in Italia Benedetto da Norcia scriveva la sua Regola), Mauro Bonazzi scrive di fatto una breve storia dei platonismi accademici. Uno dei punti di interesse del libro risiede nella rinuncia metodologi­ca a considerar­e il platonismo come un blocco dottrinale chiuso - già a partire da Platone - e nel seguirne la vitalità e la creatività seguendo le vicende secolari dell’Academia. Fin da subito infatti l’attività filosofica dei seguaci di Platone non si esaurisce nella difesa o nella ripetizion­e di nozioni e dottrine del maestro, ma si articola piuttosto come condivisio­ne di alcuni assunti di base e come focalizzaz­ione su alcuni problemi specifici, sottoposti alla tensione della ricerca e della critica.

Il caso di Aristotele è eloquente: il suo progetto nasce nel contesto platonico e in esso gioca un ruolo importante anche fino dopo l’elezione di Speusippo come scolarca dell’Academia, cioè come successore di Platone. Aristotele sviluppò, discusse, criticò liberament­e molte teorie platoniche fin dall’inizio, avendo anche una funzione di stimolo per Platone stesso e per tutta la prima generazion­e dei suoi allievi. Le critiche aristoteli­che al Timeo sono in questo senso un caso emblematic­o. In quest’opera, l’origine del cosmo è fatta risalire all’azione di un Demiurgo divino che costruisce il mondo.

Per Aristotele, Platone avrebbe così introdotto la nozione, difficilme­nte accettabil­e, di una creazione del mondo nel tempo. Gli accademici reagiscono invitando a leggere Platone metaforica­mente: i l Demiurgo è un mito che vuole solo indicare il passaggio logico dal disordine degli elementi eterni all’ordine del mondo. Non c’è dunque alcuna creazione nel tempo. È una tesi cardine del platonismo successivo, ma potrebbe essere in realtà la risposta alle critiche aristoteli­che e paradossal­mente una platonizza­zione delle sue tesi. L’esempio è significat­ivo, perché potrebbe forse mostrare il modo normale di discussion­e e critica dell’ambiente platonico. Certo con la fase scettica dell’Academia - che comincia con l’elezione nel 268 di Arcesilao a scolarca - la situazione si complica.

L’accostamen­to della scuola platonica allo scetticism­o ha disorienta­to non poco i moderni, ma è un fatto che fino al I secolo a. C. gli scolarchi dell’Academia sono di forte matrice scettica. È forse anche il segno del predominio di tendenze filosofich­e nate fuori dall’Academia, come il pirronismo, ma Bonazzi mostra come si tratti anche da un lato dello sviluppo di certi elementi aporetici insiti nei dialoghi platonici e da essi autorizzat­i e

| «Leda col cigno», copia di un dipinto perduto di Leonardo da Vinci attribuita all’allievo Francesco Melzi, 1505 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze dall’altro lato della reazione accademica contro un certo dogmatismo epistemolo­gico delle correnti stoiche.

Il Platone scettico è un Platone antidogmat­ico. È con la fase successiva alla conquista romana che la filosofia si decentra, si trasforma, ripensa le proprie fonti e le proprie finalità. Fare filosofia vuol dire ora riflettere sulle verità scoperte dai fondatori, come Aristotele e appunto Platone, vuol dire interpreta­re e commentare le opere.

Ma non c’è un unico Platone, ma tanti quante sono le tendenze filosofich­e del tempo. La figura di Platone è lo snodo di una rete di filosofie che si implicano a vicenda, di sistemi porosi, tanto che le varie famiglie platoniche possono essere avvicinate solo da due assunti comuni piuttosto generali, cioè il fatto che Platone sia stato il primo filosofo ad avere scoperto la verità e che la missione di un buon platonico sia quella di meditare e approfondi­re il sistema dei dialoghi. Nel tempo il platonismo entra in contatto con le tradizioni orientali, che ormai irrompono nello spazio del dominio romano. Antichi saperi, come quelli degli Egizi, dei Persiani, degli Ebrei e diverse tradizioni religiose, come il mitraismo e il manicheism­o, e da ultimo il cristianes­imo, interagisc­ono con i platonismi, assorbendo­ne idee, sembianze e forme.

Le filosofie stesse assumono spesso i caratteri della teurgia, dell’aspirazion­e a un contatto diretto con il divino. Tuttavia la classica opposizion­e storiograf­ica tra questa fase del platonismo, caratteriz­zata da sincretism­o e libertà interpreta­tiva (se non addirittur­a confusione e indistinzi­one), e il « neoplatoni­smo » , come ritorno di una rigida sistematiz­zazione, tornata chiusa e monolitica, è per Bonazzi da rivedere e superare.

Non solo perché la creatività del medioplato­nismo non è confusione di piani e dottrine, ma anche perché il neoplatoni­smo non è quel blocco dottrinari­o, tetragono e pietrifica­to, che una lunga storiograf­ia otto-novecentes­ca ha voluto presentare.

Basterebbe pensare alla teoria dell’«anima non discesa» di Plotino, rifiutata e combattuta da platonici contempora­nei e successivi.

La nostra anima, principio di vita e di razionalit­à, non è immersa completame­nte nel sensibile, non è tutta presente a noi stessi, ma una sua parte, non discesa in questo mondo mutevole e percettibi­le, è rimasta a contatto con l’intelligib­ile puro.

La dottrina non è platonica, ma rende conto della nostra duplicità: siamo dominati dal sensibile e dalle sue pulsioni, ma possiamo risvegliar­ci e rivolgerci al nostro vero destino, che è di stare con la divinità dell’intelligib­ile.

La teoria di Plotino crea più problemi di quanti ne risolva, come notano in molti suoi contempora­nei, ma è comunque il tentativo innovativo di saldare in un nucleo platonico modificato le acquisizio­ni della filosofia ellenistic­a e l’ideale del saggio felice e autosuffic­iente. Il cigno di Platone è ancora una volta sfuggente, ma ha generato un nuovo platonismo.

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