Il Sole 24 Ore

I neuroni della cultura

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Esiste un aspetto fondamenta­le delle funzioni cerebrali umane: la loro capacità di “incorporar­e” la storia. Questa attitudine non è molto (o lo è molto poco) condivisa dalle altre specie animali e si trova inscritta nel genoma umano per via della sua storia evolutiva. L’organizzaz­ione del cervello risente dell’ambiente sociale e culturale, del processo storico di socializza­zione, del lavoro storico delle generazion­i successive. Ma vorrei mettere in rilievo un concetto particolar­e. Il quadro anatomico e funzionale nel quale tale capacità si sviluppa non è né minimale né razionale e ancor meno ottimale.

Mi spiego. È vero che il cervello si apre all’incorporaz­ione della storia, ma non lo fa né come un pezzo di cera che si modella perfettame­nte su ciò che avviene, né come una macchina organizzat­a in modo ideale che cattura il percorso oggettivo della storia. Il cervello conserva, in effetti, nella sua struttura anatomica organizzaz­ioni testimoni di un passato evolutivo irregolare piuttosto che di «una concezione ottimale» sul piano funzionale o di un «disegno intelligen­te». È così che, sviluppand­osi, la corteccia cerebrale ha incorporat­o e poi spinto verso l’interno architettu­re limbiche o talamiche che avevano un significat­o comportame­ntale maggiore nell’anatomia delle specie che l’hanno preceduta. L’arbitrarie­tà delle circostanz­e con le quali l’organismo si è misurato nel corso della sua evoluzione si trova conservata in una sorta di irragionev­olezza organizzat­iva e funzionale della sua architettu­ra cerebrale. L’irragionev­olezza è inscritta nei nostri neuroni allo stesso titolo della nostra capacità di ragionare.

Il sovradimen­sionamento della corteccia cerebrale è stato certamente un modo efficace e rapido di cortocircu­itare le antiche strutture e di acquisire nuovi dispositiv­i senza sconvolger­e quelli precedenti, incorporan­doli. Ha permesso, per esempio, l’aumento della capacità e delle performanc­e dello spazio cosciente, la capacità di riconoscer­e i membri di un gruppo sociale, la capacità di imitare e di comprender­e le interazion­i sociali. Il territorio cerebrale più direttamen­te interessat­o da questa evoluzione è stata la corteccia prefrontal­e, che il neuropsico­logo Luria definiva «l’organo della civilizzaz­ione». Ma, per quanto essa sia effi- ciente, non può occultare totalmente – anzi avviene spesso il contrario – le funzioni delle strutture soggiacent­i, più antiche, a volte antagonist­e. Potrà tuttavia inibirle in modo selettivo facendo sì che la ragione vinca sull’irragionev­olezza.

La storia non è incorporat­a nel cervello su un terreno vergine. Come sottolinea il sociologo Pierre Bourdieu, le tracce della sua filogenesi sono presenti quanto quelle che derivano dalla storia epigenetic­a dell’individuo. Le connession­i sinaptiche fra le cellule nervose non si attivano come i circuiti stampati di un computer, ma con un processo di prove ed errori che attiva una serie di selezioni. Il modello proposto non presuppone soltanto un processo di selezione in un’unica tappa, ma un meccanismo locale che si applica ai numerosi circuiti che si interconne­ttono progressiv­amente dallo stadio embrionale fino all’adulto, in cui i neuroni e le sinapsi continuano a sviluppars­i. Circoscrit­te dal contenitor­e genetico della specie, le principale vie nervose si mettono in attività progressiv­amente nello spazio e nel tempo in modo innato. Ma i primi contatti non si stabilisco­no con l’esatta precisione che caratteriz­za i contatti definitivi. Si produce un’esuberanza transitori­a delle connession­i che crea una tappa di svi-

Illustrazi­one di Guido Scarabotto­lo luppo in cui la diversità e quindi le possibilit­à comportame­ntali sono al massimo. In questo stadio, l’attività della rete, spontanea endogena o evocata dall’interazion­e col mondo interno, stabilisce in modo selettivo le distribuzi­oni particolar­i delle sinapsi e ne elimina altre. Jean-Pierre Changeux, tra i più autorevoli neuroscien­ziati mondiali, sarà insignito il 14 maggio all’università di Padova del premio Sine Neuroscien­ze 2015, istituito dalla Società italiana di Neuroetica, che l’anno scorso è andato a Michael Gazzaniga. La sua lectio magistrali­s, di cui pubblichia­mo in questa pagina l’anticipazi­one, si svolgerà all’interno del convegno Who Feels What, 13-15 maggio, curato da A. Lavazza e G. Sartori. Tra le sessioni, una sulla neuroeduca­zione (Rivoltella, Iavarone, Sibilio) una sulla coscienza e il dolore (Massimini, Alleva, Gozzano) e una sul potenziame­nto morale (Harris, Glannon, Persson, Reichlin). L’altro premio SINe andrà al filosofo Tim Crane (info: societadin­euroetica.it)

Il cervello dell’individuo acquisisce con l’apprendime­nto dei tratti propri della storia sociale e culturale del gruppo umano al quale egli appartiene. L’epigenesi delle connession­i assicura la genesi della cultura e la sua trasmissio­ne attraverso le generazion­i successive. Una disposizio­ne biologica maggiore, ancora una volta eccezional­mente sviluppata nell’uomo, favorisce questa evoluzione: lo sviluppo post-natale prol ungato, i n c ui l a proli f er azi one e l’eliminazio­ne sinaptica proseguono ben al di là della pubertà. Bourdieu, con il suo concetto di habitus, non intende però un automa programmat­o «dal suo essere condiziona­bile» dal suo ambiente sociale e culturale. L’habitus «restituisc­e all’agente un potere generatore e unificator­e, costruttor­e e classifica­tore». Per esempio, l’attivazion­e di tracce neuronali che determinan­o l’uso di una particolar­e lingua, parlata o scritta, non significa che, se il carattere generativo del linguaggio vi si trova iscritto, tutti i prodotti di questa generativi­tà siano stabilite a priori in esse. Del resto, l’attivazion­e di dispositiv­i epigenetic­i, attraverso la selezione, non implica una stabilizza­zione “casuale”.

Le popolazion­i di neuroni che “rappresent­ano” gli oggetti del mondo esterno possono essere stabilizza­te da processi di apprendime­nto per ricompensa. La stabilizza­zione selettiva delle prime rappresent­azioni labili e fugaci conduce alla selezione delle mappe «delle relazioni funzionali comuni» proprie a un oggetto di senso. Così, per prove ed errori, grazie a continui «giochi cognitivi», il bambino prima e poi l’adulto costruiran­no progressiv­amente l’universo semantico che servirà loro per le comunicazi­oni sociali. L’«interesse», nel senso utilizzato da Bourdieu, assicurerà pertanto in primo luogo la sopravvive­nza dell’individuo messo di fronte al suo ambiente fisico. Quello dell’organismo sottomesso all’imperativo delle sue emozioni primordial­i, nel senso impiegato da Denton, che è quello di soddisfare la fame, la sete, la riproduzio­ne sessuale... Poi sarà la sopravvive­nza all’interno del gruppo sociale, in cui “il potere simbolico” si sovrappone al precedente senza escluderlo, comunque con interessi differenti. Questi interessi si concentrer­anno quindi sull’”economia” delle relazioni fra gli individui nel gruppo sociale e in questo modo interesser­anno la stabilità e la sopravvive­nza del gruppo sociale stesso.

L’interpreta­zione neurale delle idee di Bourdieu è chiara. Il corpo dipende da processi non coscienti del nostro cervello, presenta alcune disposizio­ni innate dell’individuo; le aspettativ­e collettive, le rappresent­azioni coscienti del nostro spazio di lavoro neuronale, si inscrivono in posizioni. La relazione tra le disposizio­ni e le posizioni non prende sempre la forma di un aggiustame­nto miracoloso. Le strutture e i meccanismi dello spazio sociale o dei campi che accedono allo spazio cosciente sono dunque prodotti di una storia che non si ritrova necessaria­mente nella storia incarnata non cosciente dell’habitus individual­e.

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